mercoledì 14 giugno 2023

I capitoli 6 e 7 di Andrea Ferrari e Francesco Gallone

"Gli irregolari di 500 Street", GAL e basta

 

 

Capitolo 6. Un’improbabile affidabilità

 

PorNuo District, sabato prima dell'alba

I lembi dei mantelli svolazzano provocando un inquietante sussurro, mentre la città, ai loro piedi, appare inferma, paralizzata, murata. La Congrega della Teppa, riunita sul tetto di un palazzo in località segreta ovvero sulla Torre dell'UniCredit in Garibaldi, o Isola, o Porta Nuova/PorNuo District, assiste, ammutolita. Se non è opera del Divino, se non è un accadimento sovrannaturale, quello che sta succedendo dimostra che, tra le forze in campo, deve esserci qualcuno che possiede una potenza inaudita, col quale il confronto è impensabile.

«Se non aprivano i varchi, non avremmo potuto riunirci.»

«Il mio contatto in Regione dice che potrebbe essere una rappresaglia russa...»

«Fratello Balabiott, licenzia il tuo contatto.»

«Da noi, in Comune, non sappiamo che pesci pigliare...»

«Fratelli... calma. L'unico autentico problema è che non sappiamo chi abbia combinato tutto questo. Sicuramente sarebbe un avversario temibile, ma non sapendo chi sia, non sappiamo nemmeno se considerarlo un nemico.»

«Una volta ho trovato uno a letto con mia moglie. Quello mi ha chiesto scusa, mentre si rivestiva, e io gli ho risposto: si vede che non conosci bene mia moglie, perché io ti ringrazio.»

«Che vuol dire, Trani?»

«Vuol dire che comunque ero cornuto. Chi ha fatto questo, anche se avesse una comunanza d'intenti con noi, che non rilevo, sarebbe in ogni caso uno scomodo alleato, troppo potente per essere contraddetto.»

«Hai ragione, Trani... ma... è vera la storiella su tua moglie?»

«Ah, sulla moglie ha ragione, ma non ci ha mai beccati...» borbotta il Busecca.

 

Mentre il sole si leva, la Torre proietta la propria ombra sulla città, e a quella silhouette si aggiungono due figuri in tunica, Michetta e Trani. Trani solleva un braccio e gioca a far afferrare alla propria ombra il Cimitero Monumentale. Michetta sbuffa. «Bezos ha inviato a Milano 200.000 droni per le consegne. Sono arrivati stanotte.»

Trani con le mani crea un'ombra cinese a forma di tirannosauro, e le fa divorare Chinatown, quello che una volta era il ghetto cinese e oggi è una splendida passeggiata attorno a una ravioleria e un'enoteca. Il dinosauro si muove vorace, scavalcando i muri agilmente: «Da lunedì i lavoratori tornano tutti in smart working. Quel che abbiamo imparato dalla pandemia dà i suoi frutti...».

«Non tutti i mali... in fin dei conti, pure questi mattoni...»

«Già. La 'ndrangheta ci andrà a nozze. Gramellini potrà fare un sacco di editoriali. Il Comune li userà come scusa per ogni disservizio. Insomma, qualcuno ci guadagna sempre, no? Uh, sta arrivando la colazione...»

Il drone atterra alla posizione data tramite Google, lasciando una scatola contenente caffè e brioche. Michetta brontola: «Avevo ordinato il mokaccino, non questa roba qui!».

Ma il drone non aspetta la mancia, e sta già tornando al bar.

 

 

ANo District, sabato mattina

Jonathan Thoughts richiude lo zaino e se lo mette in spalla, mentre passa uno stecco di liquirizia da un lato all'altro della bocca. Denali lo osserva e si rende conto che non ne capisce l'età, sembra giovane e vecchio, né la statura, sembra altissimo e basso, né il peso, sembra leggero e massiccio. Si rende conto che Jonathan Thoughts non è reale, non può esserlo, non è allucinato, è un'allucinazione, Jonathan Thoughts è uscito dai fumetti, Jonathan Thoughts è l'unica speranza a cui appigliarsi. Forse per questo è irreale.

«Ce la fai col bambino?»

«Questo marsupio è un'eccellenza per gli esperti del portare, l'ho preso alla Bottega delle Bef...»

«L'importante è che tu ti senta a tuo agio. A Dakar ho accompagnato un gruppo di donne coi bambini fasciati addosso, anche più di uno, e si muovevano meglio di me. Che personaggio, Dakar… Va bene, senti, ora scendiamo e studiamo la situazione. I segnali di fumo dicono che stanno aprendo diversi varchi, e che addirittura alcune auto stanno riuscendo a uscire dalla città.»

«I segnali di fumo?»

«I segnali di fumo. Quelli.»

Jonathan Thoughts indica alcune colonne di fumo, sbuffanti da un paio di angoli dell'orizzonte: «Molto più riservati, e permettimi, affascinanti, di qualsiasi chat su Whatsapp».

«Riservati?»

«Be’, quel che passa in rete appartiene ai suoi signori. Una setta che possiede ogni tuo dato, inclusa la posizione. Quel che sale in cielo, appartiene a Dio. E colleghi. Andiamo?»

 

Jonathan Thoughts fronteggia il muro. Sta lì, a gambe divaricate, come un cowboy in un duello. Lo fissa, quasi volesse bucarlo con lo sguardo. Allunga una mano, poggia il palmo sulla terracotta. Ascolta. Denali pensa possa essere questa l'occasione giusta per fuggire e far da sola, far seriamente. Eppure quel tipo, un po' Pippo e un po' pirla, ha qualcosa che infonde fiducia. Un’improbabile affidabilità. Ora Denali, infatti, pensa che il muro si aprirà come un sipario, si sgretolerà, farà qualcosa di incredibile e li lascerà passare. C'è tempo, per questo.

«Stanno aprendo una breccia una cinquantina di metri più in là: andiamo!» la informa con entusiasmo Jonathan Thoughts.

 

In effetti il NUIR, Nucleo intervento rapido del Comune di Milano, sta lavorando sodo. Supportato e sostenuto da schiere di cittadini volontari con picconi e mazzette, attorniati da frotte di pensionati e umarell che, braccia dietro la schiena, li osservano e commentano il lavoro, ce la mettono tutta ad abbattere le barriere. A volte con frustrazione, perché tirano giù pareti che in men che non si dica risorgono insistentemente, da cui il rielaborato proverbio “testardo come un muro”. A volte con soddisfazione. A volte con malizia, come il tipo che ne ha approfittato per abbattere il muro delle Poste, o quell'altro che è sbucato in un centro massaggi orientale. Comunque, il NUIR abbatte e non s'abbatte. Diversa è la situazione per tutti i manovali assunti nelle migliaia, forse decine di migliaia, di imprese edili meneghine: l'ordine è di non muovere attrezzo se prima il Comune non riconosce un compenso, che sia pure uno sgravio fiscale.

 

La popolazione è bloccata, ma non si ferma. Il social sfoggia foto e video di muri e altri fenomeni, il Popolo dei Balconi reintona il suo inutile carme, Amazon registra un picco nella vendita di tapis roulant, ci si chiede ovunque quanto durerà questa situazione e i tiktoker dicono che ne usciremo migliori.

 

La chiesa dell'Annunciazione è tutta in mattoni rossi e si confonde in un affresco murario arancione dal quale emerge un Cristo Risorto che dà l'idea di non volersi fermare a lungo. Denali accarezza Ettore sulla testolina, mentre segue Jonathan Thoughts, che di fronte al nuovo muro si rivolge direttamente all'effigie di Gesù: «Ehi, socio, per favore, fai tu?».

Nel muro si apre una breccia, e Thoughts commenta, divertito dall'espressione stupefatta di Denali: «Non lo conosci? È sempre stato un ragazzo disponibile, basta essere gentili...».

Denali avverte uno sconvolgimento fisico, lo spaesamento assoluto di quando si assiste a qualcosa di impossibile che però, tant'è, avviene. Una volta aveva visto un fantasma, ad esempio, un edicolante alcolizzato morto le aveva attraversato la strada davanti, e ormai erano mesi che tutti sapevano che era morto, e che l'edicola aveva chiuso perché era morto. Ma la spiegazione, all'epoca, era semplicemente che le parole l'avevano sepolto prima della cirrosi, era stato ricoverato, in parte recuperato, ma l'edicola era fallita. Non aveva mai visto qualcuno pregare, peraltro senza ritualità particolari, e venire esaudito all'istante. D'altronde, non aveva mai assistito nemmeno al fenomeno dei muri che crescono come funghi. Ma Ettore sta bene e ridacchia e, che sia grazia ricevuta o follia, Denali decide che va bene così.

 

Su viale Enrico Fermi una mastodontica coda di automobili occupa tutte le corsie in uscita da Milano, procedendo lentamente e quasi mai fermandosi. Alcune ambulanze stanno lasciando il pronto soccorso del Niguarda, con l'idea di riuscire a raggiungere altri quartieri e istituire delle sorte di ambulatori mobili.

 

Jonathan Thoughts, per prima cosa dopo aver individuato e raggiunto piano e reparto, si avventa sulla macchinetta della bevande e prende un caffè con il cioccolato. Denali ed Ettore si lanciano verso la stanza dov’è ricoverato, da neanche un'ora, Marco: «Come fate a essere già qui?».

Denali si rende conto che non sono trascorse nemmeno tre ore dall'assunzione in cielo di Marco: «Ci ha accompagnati...» e, roteando il dito puntato alla tempia, ammicca al sopraggiungente Jon Thoughts.

«Non deve essere tanto citrullo, se vi ha portati qua!»

«No, anzi. Parla coi muri, con Dio, compie miracoli, mastica liquirizia ed è molto attento e cordiale. Temo mi paia pazzo proprio per queste ultime caratteristiche...»

Marco ride, poi si rivolge a Thoughts: «Grazie, per averli condotti qui!».

«Non c'è di che, anzi... Che ha fatto, quel tipo lì?»

Nella stanza di Marco, Denali lo nota solo ora, c'è un altro degente. Dorme profondamente, ha delle flebo attaccate e una vistosissima bendatura sul cranio. Sul comodino, dei fiori stanchi e la foto di una famiglia felice.

«Mah, non ho capito benissimo, poi chiedo meglio» dice Marco. «Credo che sia un dipendente del Comune che, durante un sopralluogo in cantiere, è stato colpito alla testa da qualcosa, forse un mattone... ma sai, ora diamo la colpa ai mattoni di tutto... e se c'è un incidente li guardiamo col sospetto che questo sia premeditato, e i mattoni diventano anche assassini.»

«Be', tu sei stato aggredito da una parete di mattoni, Marco!»

«Dài, Den, semplicemente un muro pericolante di mattoni spontanei mi è crollato addosso. Non credo volessero uccidermi.»

«Vatti a fidare. Sono matti questi mattoni.»

«Buona questa, ragazza! Amici, ascoltatemi: io debbo andare, il dovere mi richiama. Qui siete al sicuro, e... facciamo così.»

Jon comincia a rimestare nello zaino, finché non estrae un razzo di segnalazione: «Vi lascio alcune carte. In caso la situazione peggiorasse e io non dovessi tornare, vai sul tetto dell’ospedale e lancia questo razzo, per favore. Se io non potrò venire, comunque quelli dell'Osservatorio verranno a recuperare il mio diario e altre informazioni utili che ho raccolto. Ti va?»

Denali guarda il razzo, guarda Jonathan Thoughts, guarda le finestre, l'uomo con la testa fasciata, Marco, Ettore. Sorride. «Come potrei dirti di no? Però... salirò con le scale!»

Jonathan si esibisce in un inchino e si allontana a grandi passi lungo il corridoio e giù per le scale. Marco abbraccia Denali ed Ettore.

Sono quasi le due.

 

PorNuo District

«Uè, Michetta, ma sei stato qui tutto il giorno?» chiede Fratello Trani emergendo sul tetto della Torre di Unicredit.

«Lascia perdere! Alùra, che si dice?»

Trani è distratto, il sole ha scavalcato la torre e dunque gli permette di proiettare ombre cinesi su una nuova parte della città. E mentre contorce le mani per produrre il piccione gigante che oscura con le proprie ali il Quartiere Arcobaleno, osserva la città che avrebbe voluto fortificare. Nugoli di droni che si avvicendano in migliaia di consegne, muri che compaiono, scompaiono, resistono, s'abbattono, colonne di fumo, rumor di cantiere, odor di kebab.

«Ma... Michetta! Cos'hai fatto?»

«Ho ordinato un kebab, che il poké l'è una roba complicata...»

«Sant'Ambroeus, perdonalo, perché non sa quel che fa.»

«Alùra?»

«Alùra... nessuno sa niente, senonché pare che il Governo abbia inviato un qualche ispettore di qualche sezione speciale per studiare il fenomeno, il Vaticano non si è pronunciato ma ti dico che sicuramente ha già qualche tonaca nascosta in giro, e gli scienziati non spiegano nulla. I muri ci sono, nessuno sa perché, nessuno sa percome, ma tant'è.»

«La Loggia del Terùn?»

«Michetta, quelli sono inoffensivi, è una trovata per ridere e organizzare le serate polenta e 'nduja!»

«Non mi fido.»

«Stai mangiando un kebab.»

«Sì, ma mi han detto che la carne è tedesca...»

 

Rainbow District, toilette del Mono Bar

Dall’altra parte del muro sorto nella toilette del Mono Bar giungono altri rumori, e tutti gli avventori, stremati dal lungo, retorico, prolisso monologo di Ray Lights si accalcano a rimirare il prodigio.

All’improvviso il muro nella toilette produce uno schiocco secco e, come le porte scorrevoli della metropolitana, si apre, mostrando un tipo alto e basso, giovane e vecchio, che sorride a chi lo attende: «Salve a tutti, non allarmatevi! Sono un agente dello Stato... oddio, così forse vi preoccupate... Niente: mi chiamo Jonathan Thoughts e vi invito tutti a lasciare il locale e ad allontanarvi da quell'uomo!».

Il dito di Thoughts indica Ray Lights.

Il viso di Lights si corruga in una maschera demoniaca: «Maledetto!».

«Ray! Non puoi approfittarne sempre!»

Un gentil signore, facente parte del pubblico cosciente della pubblica orazione, si permette: «Mi scusi, ma lei si sta rivolgendo a Ray Lights, una indiscussa autorità nell'ambito de...».

«Ray Lights è un'entità malevola, esperta nello stendere il filo spinato là dove gli uomini abbattono i muri!» lo interrompe serio Jonathan. «Scommetto che ha ciarlato in inglese anche stavolta, vero?»

«Ma è la sua lingua...»

«La sua lingua è biforcuta! Ray Lights, ti dichiaro...»

Un rumore sinistro comincia a emergere dalla toilette. Non un semplice water otturato... qualcosa di più... clamoroso. Jonathan lo sente, ruota su se stesso, va a controllare e torna indietro di gran corsa: «Fuori tutti! Fuori! Fuoriiiiii!»

L'eruzione di mattoni sconvolge gli avventori del Mono e i passanti. L'aperitivo è inviso, a quanto pare, ai mattoni. Nessuno si fa male, solo un tumultuoso spavento, durante il quale Ray Lights scompare. Jonathan Thoughts sussurra: «Spero di non vederlo più, quel rettile... invece lei...».

Passa la liquirizia da un lato all'altro della bocca e, tra i curiosi sopraggiunti a vedere quel vulcano di mattoni, Jonathan individua una turista orientale, le si avvicina e dice: «Ehi, io ho conosciuto il suo bisnonno!».

«Sorry

«Ho conosciuto il suo bisnonno! Lei non è la nipote di Ho Chi Minh?». La turista lo guarda perplessa e lui ripete in inglese: «Are you Ho Chi Minh’s great granddaughter

«Yes. I'm looking for the wall with the plate, the house where my grandfather lived in Milan

«Oh, I see... It’s not in Porta Venezia, it’s in Porta Nuova!»

«Oops... It’s the wrong door!»

«It’s always the wrong door, if you keep it closed.»

 

Teresio Dei cerca la via di casa, ma trova soltanto muri intorno a sé, l'invasione è peggiorata. Tenta una strada, poi un'altra, niente. Il rito festoso dell'aperitivo si tramuta in una escalation d’euforia incontrollata, gli spritz paiono le lanterne del popolo che insegue il mostro di Frankenstein. Come in quell'occasione, però, il mostro è il popolo della metropoli, e oltretutto qua non c'è nessun mostro da braccare. Ray Lights vaga felice in questa bolgia, un ghigno estasiato. Teresio Dei attraversa tutto con distratta rassegnazione, ha già i suoi guai a cui badare, i mattoni son soltanto una contingenza, come la pioggia. E anzi, quando non ne può più del caos e della fatica, intravede l'ingresso del cinema Arcobaleno e vi si imbuca, ambendo alla tranquillità solitaria di una poltrona in ultima fila.

Lì, nel buio della sala, l’universo ritrova il proprio equilibrio. Teresio è avvinto dal film finché, sul più bello, non gli squilla il telefono che nella confusione aveva dimenticato di silenziare.

 

 

Capitolo 7. Gli irregolari di Cinquecento Street

 

South Porta Romana

sabato mattina

 

Rafe' arriva a South Porta Romana dopo un lungo volo e osserva il quartiere sotto di sé.

Qualche muro è sorto anche lì, ma dall’alto si ha come l’impressione si tratti di una specie di fortificazione, che costeggia il grande cavalcavia di viale Puglie fino a viale Omero e Fabio Massimo, giù verso Chiaravalle. Il muro lì si interrompe in direzione del parco agricolo Sud Milano, all’altezza del vecchio borgo di Nosedo, e riprende poco dopo via San Dionigi fino all’imbocco del distretto di Porta Romana, tagliando di netto Corso Lodi e l’omonima grande piazza.

Più che un muro per chiudere dentro la gente del blocco, Rafe' lo interpreta come la costruzione di qualcosa che vuole tenere fuori il centro dalla periferia. Una porzione di città poco distante fisicamente dal glamour della Metropoli smart, ma concettualmente incompatibile con il nuovo sviluppo imposto dalla modernità. Qualcosa che vuole preservare la veracità di queste vie così malandate, però piene di vite.

Il quartiere, dal canto suo, è piombato in quella particolare condizione in cui tutto sembra fermo e calmo, ma in realtà si tratta dell’apparente quiete di un felino che dorme con un occhio aperto.

Ogni angolo sgocciola la stanchezza della notte passata, come un cartoccio di olive. Fino a poche ore prima, tutto è stato controllato dalle vedette del blocco, ragazzi più o meno grandi che riconoscono una guardia a oltre duecento metri di distanza. Adesso i pusher si sono già ritirati da un pezzo, dandosi il cambio con i muratori egiziani che si incamminano verso il cantiere. L’ombra di una porta mezzo aperta di un bar cinese, cotto come un raviolo al vapore, disegna con la luce del giorno una specie di torta di asfalto, senza zucchero a velo però.  Qualche donna dell’Est esce piena di borse e borsoni per una spedizione in un quartiere lontano e si ostina a chiamare casa,

nonostante tutto, queste quattro vie mezzo cadenti e mezzo no.

Qua e là i resti di qualche tafferuglio scoppiato nella notte. Una parola mal detta a causa di una bevuta di troppo, oppure una partita di roba non pagata in orario, o più semplicemente il principio o il distorto senso dell’onore, di solito, scatenano la faida. Insulti, gesti, altri insulti, la chiamata a raccolta di compagni e amici, e le inevitabili mazzate. Tirate pressoché a caso, più per farsi vedere che per offendere realmente. Solo che queste manifestazioni necessarie e sistemiche per mantenere l’igiene microcriminale del quartiere portano sempre guai. E da queste parti i guai sono sinonimo di forze dell’ordine e ufficiali giudiziari.

Rafe', con la fede di Nino nel becco, si infila nella sua voliera sul balcone e pensa di riposarsi prima di portare il suo pegno ad Annarella. È di otto mesi e, in queste condizioni, le emozioni vanno dosate. Poi si rende conto che non può aspettare. Abbandona la sua comoda voliera, si accosta al vetro e picchietta con il becco e con l’anello per attirare l’attenzione della moglie di Nino.

Quando Annarella si accorge di Rafe' che lascia la fede di Nino sul pavimento si blocca.

«Uh, Gesù» dice, si fa il segno di croce e principia a smozzicare qualche preghiera per il suo povero Nino. Il ragazzino in pancia le rifila tre belle botte, come a dirle che papà suo è una garanzia e non c’è da preoccuparsi. C’è però da chiamare all’avvocato Turco. Che è Turco di nome e di fatto, per quanto fuma. E pure perché quando arriva lui, in Tribunale, tutti gridano “mamma lu Turco!”.  

Quello che Annarella non vede è che Tonino, il più grande dei suoi figli, si è appostato arrier’ alla porta della cucina e ha capito tutto.

Papà suo sta in pericolo e ora tocca a lui fare l’uomo di casa.

 

ANo District

Sabato a tarda sera

 

L’Assessore, l’Ambrogio, è incazzato come un’ape.

Ronza intorno a Nino, manco fosse un bel margheritone di campo carico di polline succulento, e sputazza parolacce e imprecazioni verso tutto il globo terracqueo.

«Ma guarda te se dovevo finire a fare la balia a un rubagalline come questo pirla qui. Porco d’un cane ladro, te sei più naso che cervello e per di più sei anche stitico. Senti, c’hai lo stimolo? Hai finito gli spinaci con le erbette?»

«Assesso’, ho finito tutto ma gliel’ho detto io sono uno che è un orologio a casa propria. Ho necessità dei comfort miei, le mie comodità. I miei vizi, assesso’. Fuori, io non la faccio. E pensi che problema i primi mesi quando mi è capitato di finire ospite dello Stato. A tanto così dall’infermeria mi sono sbloccato! Poi, se mi posso permettere, assesso’, ’nu secchio pe’ cantero è proprio ’na fetenzia.»

«Senti, caro il mio fighetti, intanto parla come si deve e mettici meno regionalismi. Io sono uno che chiama le cose con il loro nome, ci siamo intesi? Quindi, adesso cerchi di concentrarti e di buttarmi fuori ’sta benedetta pendrive, altrimenti ti faccio fare un discorso dal compagno Kalashnikov, chiaro? Dentro lì c’è la mia assicurazione sulla vita, ci siamo spiegati?»

«Assesso’, allora state proprio nella merda!»

 

South Porta Romana

Sabato, tarda sera

 

Tonino ci ha messo meno di un giorno a tirare su la sua banda, però ha fatto un buon lavoro.

Adesso, al riparo nel cortile di via dei Cinquecento, sta aspettando che i suoi compagni d’avventura arrivino per andare a salvare a papà suo.

Mammà non si deve preoccupare, non serve nemmeno chiamare l’avvocato Turco, che l’ultima volta le ha pure rinfacciato una parcella non pagata, ci pensa lui a fare l’uomo di casa.

Il piano di fuga è semplice quando efficace.

Si è coricato al solito orario, fingendo pure di fare storie che in televisione ci stava l’Isola dei famosi. A mammà non gliel’aveva mai detto che a lui quella con quei due canotti al posto delle menne gli faceva venire il sangue bollente, che non voleva farla ’ncazzare.

Quando i suoi fratelli già se la ronfavano della grossa, Tonino ha fatto il fagotto sotto alle coperte del suo letto a castello, si è infilato le scarpe che a letto c’era andato già vestito, ha preso il giubbino e lo zainetto ed è sceso in cortile. La porta l’ha aperta e chiusa senza far rumore, che papà suo gli ha insegnato bene come si fa. Giù, adesso, alla chetichella si sta facendo i conti della roba che ha messo nello zainetto. I ferri per lo scasso, la torcia grossa, quattro pagnottielle ripiene coi friarielli e la provola, rigorosamente senza il maiale che Sayed non può, e due fumogeni azzurri che Nino si era comprato perché il Napoli era bello primo in classifica e, senza scaramanzia, teneva lo scudetto già cucito sopra alla maglietta.

La banda è composta da altri tre ragazzetti del blocco: c’è Zao, il figlio quasi tredicenne del cinese di via Bessarione che ripara tutti i dispositivi elettronici del quartiere. Un tipo dritto. Capelli a scodella, neri come le penne di Rafe', gli occhiali da miope e il tocco magico per tutto quello che è digitale. Gira sempre con un tablet, modificato da suo padre, con il quale è in grado di craccare i monopattini e le bici che si trovano per strada.

L’uomo forte è Sayed, il figlio del macellaio di via Polesine. Ha dodici anni, ma è alto quasi un metro e sessantacinque e stazza una settantina di chili sani sani. Naso egiziano, zazzera crespa e due mani grosse come badili ne fanno una macchina da guerra perfetta.

L’ultimo della banda di Tonino, ma non per importanza, si chiama Fabietto. Compagno di classe di Tonino, piccolo, magro come un chiodo, però possiede una mira infallibile con la fionda. Una volta era riuscito a spaccare il vetro della scuola media a quasi trenta metri di distanza. Ma non un vetro qualsiasi. Aveva dichiarato quello in alto a sinistra. Il cesso delle femmine. Aveva preso la mira e non si era nemmeno goduto lo spettacolo perché, prima ancora di sentire il rumore del vetro frantumato era scappato, seguito da tutti i compari. Fabietto è il nipote di un compare di Nino. Uno con il quale avevano diviso la stanza del Grande Hotel Filangieri, come dice sempre papà suo. Insomma, uno tosto e del quale ci si può fidare.

Lì accanto Rafe' zampetta nervoso, annanz’ e arretr’, sperando che qualcuno del cortile non becchi i bambini che stanno per fare la loro prima vera esperienza da grandi. Ironia della sorte, fuori dalle mura amiche del blocco di Corvetto.

All’improvviso Tonino sente tuppuliare sul grande portone di legno di via dei Cinquecento.

Gli pare di contare tre colpi forti e due lunghi, il codice concordato con i suoi complici, e si getta fuori dal cortile seguito da Rafe', come se fosse nato una seconda volta. Partorito non da mammà, ma dal suo quartiere. Plasmato come generazioni e generazioni di ragazzini di questa piccola periferia dal cuore grande e dai guai enormi.

Tonino esce in strada e tutti e tre i suoi compagni sono lì che lo aspettano.

Hanno due monopattini elettrici in quattro, perché sono così grossi che bastano e avanzano.

Zao ride quando Tonino gli chiede se sono regolari.

«Regolarissimi» dice con accento troppo milanese. «Appena ciulati!»

A quelle parole ridono pure gli altri, anche se Sayed sembra preoccupato.

«Dobbiamo fare presto. Io domani prima delle cinque devo essere indietro. Mio padre si alza alle cinque e mezza e se non mi trova a letto mi ammazza di cinghiate.»

«Non fare la femminuccia, se non ti trova non può darti le cinghiate» dice Fabietto, pensando al suo di padre che vede una volta ogni sei mesi quando passa da casa per lasciare qualche spicciolo e litigare con mamma.

«Tonino, ma sai dove andiamo?»

«Certo, Zao, che lo so. Cioè, lo sa lui.» E indica Rafe’ che si alza in volo e parte come un razzo verso l’ANo district, seguito da questa pattuglia di irregolari dell’esercito di Corvetto.

 

ANo District

Sabato a sera ancora più tarda

 

Un appassionato di cinema definirebbe la scena nell’appartamento dell’Assessore come il tipico stallo alla messicana, anche se con soli due attori che si muovono sulla pellicola. A ben vedere, mancano molte cose per ricordare il perfetto set dei vecchi spaghetti western, ma in linea di massima ci sono i requisiti minimi di vita e tensione sui volti e negli occhi per definire la situazione piuttosto tesa.

L’Assessore è esausto, l’AK-47 gli penzola ormai a tracolla come il borsello di un turista giapponese dopo dieci ore a Venezia, passate a rincorrere l’ombrellino rosso della guida troppo euforica. Suda copiosamente, ha le mascelle che triturano strati e strati di smalto e i denti gli scricchiolano in modo sinistro. Il naso, rosso come il culo di un babbuino, gli cola vistosamente e la manica della camicia cifrata fatica ad arginare tutto il muco. Gli occhi sono percorsi da autostrade di capillari sempre più rossi che si intersecano come uno svincolo bloccato a fine agosto.

Li stropiccia continuamente con le mani ghiacciate che tremano vistosamente, ma non perde mai il contatto visivo con Nino, che dal canto suo conserva un’attenzione vigile.

Zeus e Apollo, i bambini, sono stati rinchiusi a chiave nello sgabuzzino con una dose da crepa panza di scatolette e acqua. Che cagassero dove più gli conviene, ha pensato l’Assessore, basta che non mi vedano in queste condizioni. I bambini non se lo meritano, potrebbero preoccuparsi più del dovuto. Sono cagnolini sensibili. I pantaloni del vestito casual sono leggermente sbottonati per consentire al sottopancia prominente di rilassarsi un poco. Le scarpe slacciate, indossate ormai con il tallone scalcagnato a mo’ di ciabatte, emanano un cattivo odore di piede sudato che il filo di Scozia, si sa, non assorbe come la spugna.

L’Assessore, per tenersi su, ha pippato quasi tutta la scorta personale e spera che Nino si decida a lasciarsi andare perché avanti di questo passo non è sicuro di arrivare sano di mente a domani.

Il gioco di sguardi, nello stallo alla messicana, funziona solo se la tensione fra gli attori è bilanciata, e Nino, inconsapevole star in questo film dai tratti grotteschi, fa la sua parte in modo più che egregio. Il suo ruolo è certamente quello del brutto, un Eli Wallach in salsa partenopea che sa più di friggitoria che di stallatico, ma che allo stesso modo conserva uno sguardo intenso, furbo e inaspettatamente ironico. Nino guarda che sembra un uomo di un altro pianeta, gli occhi sono due fessure dalle quali spuntano le iridi nere, attentissime a ciascun movimento dell’avversario. Nino sa che la sua unica via di uscita è il tempo. Che è galantuomo, ma solo con chi ha la giusta pazienza. E a pazienza, rispetto a questo gran cornuto dell’Assessore, lui è in vantaggio. È tutta la vita che aspetta. Prima un lavoro che non è mai arrivato, poi le guardie che se lo venivano a pigliare e le infinite attese per riacquistare la liberta. Più o meno vigilata non fa differenza. Per non parlare di tutte le volte che ha dovuto far passare i fatidici nove mesi per vedere il viso stropicciato dei suoi figli. A proposito, si deve mantenere vivo anche perché il quarto non può mancarlo. A sfregio, Nino decide che se tutto si risolverà il ragazzino nuovo lo chiameranno Ambrogio. Magari parlerà milanese come quest’orso bruno e farà carriera politica. Nino sorride, e spera che così criminale non gli diventi mai, il piccolo Ambrogino.

«Cazzo ti ridi?»

«Ma che rido e rido, mi sto facendo lo stretching come i calciatori. Sto arrovogliato a ’stu cazz’ ’e calorifero peggio di un salame in cantina.»

«Senti, adesso fai silenzio che chiamo l’avvocato.»

L’Assessore fa il numero di Teresio Dei, con uno dei nuovi cellulari "puliti” e continua a fissare Nino con aria minacciosa.

Il terzo attore per completare quello che comunemente in cinematografia si definisce un "triello” sta per entrare in scena. Ma la pubblicità è l’anima del commercio e bisogna attendere.

 

Per le strade di Milano

Sabato a tarda sera

 

Gli irregolari di Cinquecento Street non hanno mai letto Uno studio in rosso o Il segno dei quattro di Arthur Conan Doyle e conoscono esclusivamente i loro omologhi della serie televisiva americana. Solo Zao, il cinese, l’ha vista tutta su Netflix, che lui cracca qualsiasi cosa e non paga mai un abbonamento. Però se l’è dovuta ciucciare in lingua originale, con i sottotitoli piratati in cinese, e ci ha capito poco o un cavolo, ma almeno è un bambino informato sui fatti. Nonostante le lacune letterarie, i quattro ragazzetti e Rafe' procedono spediti verso l’ANo District e zigzagano alla grande fra le muraglie, i posti di blocco, i lavori in corso per le demolizioni a ciclo continuo e le apparizioni spontanee di mattoncini in mezzo alla strada. Dei muri hanno capito poco, anche se si sono informati su Internet e alla televisione, ma, dato che nel blocco tutto sembrava essere uguale a prima, hanno derubricato la cosa come una questione da adulti e del centro, per di più. Tipica strategia del riccio di chi abita in periferia. Si appallottola, si chiude e se non vede pensa di non dover credere. Al riccio di solito dice male e viene schiacciato da uno pneumatico. Anche a chi sta ai bordi delle città spesso non va molto meglio. Ognuno ha la sua ruota che gira, dopotutto.

Quello che Tonino e gli altri hanno notato è che i mattoni spuntano solo sul cemento, e invece sembrano non fare capolino fra le pietrazze del pavé che fanno saltare i monopattini come le macchine del rally. Strano. Rafe' vola basso per tenere sotto controllo la squadra di soccorso per Nino.

La scena che riesce a vedere il cornacchione, quando si alza in quota per perlustrare il tragitto da far fare ai suoi compagni, è qualcosa di desolante e al tempo stesso emozionante. I segnali di fumo, fra le aree dove non sono ancora stati liberati i varchi, danno al tutto un tocco da cucina infernale. O da campo rom, che spesso è solo l’anticamera dell’inferno. La città, la grande Metropoli dagli immensi grattacieli e delle piccole persone, sembra sobbollire come un brodo di pollo sul fornello di una nonnetta che aspetta l’ora di cena solo per tirare giù le tapparelle e chiudere tutto il mondo fuori. Rafe’ spera che il pensiero del pollo a mollo e dell’inferno non porti sfortuna, e prosegue nella perlustrazione. La cornacchia vede mattoni e muri orizzontali e a gradini, che compaiono e che collegano idealmente perfino i tetti di Milano, ma non tutti e non per tutti. A starci attenti, adesso, gli sembrano seguire uno schema più coerente di quello che aveva potuto osservare un paio di giorni prima. Pare che si stiano muovendo a raggera, come a porzionare il tessuto urbano a forma di ruota di bicicletta o di pizza. Tutto questo potrebbe cambiare per sempre il territorio cittadino, e basterebbe conoscere il progetto a monte di questi muri per capire in che fetta di città toccherebbe campare a quelli che non possono volare.

Dalle parti del varco aperto a Porta Venezia, proprio al limitare del grande parco con i cancelli sbarrati, che una volta ospitava uno zoo e che a Rafe' era stato raccontato da uno dei suoi vecchi amici di quando viveva sulla Martesana, i ragazzini decidono di fare una pausa per rifocillarsi.

Si imboscano proprio sul cavalcavia dei Bastioni, senza far caso ai loschi figuri, per lo più neri, che smazzano da quelle parti. Una faccia una razza, indipendentemente dal colore della pelle e dalla lingua in cui si intrallazza. Le regole della strada si imparano presto e, soprattutto, non ci sono verifiche da fare con maestri o professori. Tutta pratica. Chi sbaglia paga e chi fa giusto è pronto per un altro giro di giostra.

«Raga’, ho portato quattro pagnottielle che ci facciamo uno spuntino prima della battaglia.»

«Uh, Toni, sei un genio. Non c’è il prosciutto vero?»

«No, Saye’, eccheccazzo. Ci fai una capa così che non puoi mangiare il maiale e vuoi che ci inzacco il prosciutto? Dài, solo provola e friarielli. Tie’, mangia!»

Anche Fabietto e Zao divorano la loro pagnottiella e, con una sete fuori dal comune, guardano l’orologio e fanno cenno che è ora di ripartire.

Rafe' si rialza in volo e punta dritto verso via Melchiorre Gioia. I monopattini viaggiano come drakkar vichinghi nel mare urbano e, inspiegabilmente, nessuno mette in discussione il ruolo della cornacchia nella loro spedizione. Però sono curiosi.

«Ma com’è che tuo padre ha una cornacchia al posto di un cane o di un pappagallo come i pirati?»

«Fabietto, Rafe' è uno di famiglia. Non sa parlare come i merli indiani e non ripete a pappagallo le minchiate che gli fanno imparare, ma è un palo con i fiocchi. Ha la testa fina e, dato che non parla, non può tradirti mai.»

«Nino è uno dritto. Lo dice sempre pure mio padre.»

«Grazie Saye’.»

«Dovere.»

Fra il dire e il fare c’è spazio anche per l’ultima porzione di Milano da servire sul piatto d’argento a questi quattro eroi minuscoli che hanno scelto la parte sbagliata della murata, ma lo hanno fatto con spirito ribelle e di giustizia. Moderni briganti, all’assalto del potere. D’acquisto, che sempre di Milano si sta parlando.

I palazzi gemelli dell’ANo District sono in vista e sembrano le due Torri del film Il Signore degli Anelli. Manco a dirlo, anche quello piratato da Zao e visto una sera di quest’inverno nei sotterranei del cortile.

Rafe' fa un grande giro sopra le teste dei ragazzini, poi si appollaia sul cadavere di una cabina telefonica che i piccoli diavoli non hanno mai potuto vedere in funzione e che, a dirla tutta, resta nelle loro giovani menti un mistero al pari delle femmine e della Coca-Cola senza zucchero.

Tutt’intorno, i compagni si giurano amicizia eterna e puntano dritti verso la prigione di Nino.

 

ANo District

Nella notte fra sabato e domenica

 

«Avvocato, quanto ci vuole a rispondere al telefono?»

Teresio Dei, trafelato per l’imbarazzo dello squillo del telefono durante il film al cinema e pure un po’ incazzato perché si sta perdendo il gran finale, non riesce a rispondere e balbetta solo qualche sillaba.

«Avvocato, mi sente? È ubriaco?»

«Sì. No. Cioè, sì Assessore. La sento. Come va lì?»

«Come vuole che vada? Questo è più stitico di una capra e io sono esausto. Ho bisogno che lei mi porti una purga per velocizzare le operazioni.»

Teresio Dei, avvocato ormai confuso, vede nella purga la soluzione a tutti i suoi mali e cestina in meno di un amen il suo cervellotico piano per salvare i cavoli dell’Assessore e la capra stitica.

«Certo, Assessore, vado subito dal dottor Ambreck che è sempre aperto e vengo da lei. Ha delle preferenze, per caso?»
«Avvocato, ma che cosa dice? Una purga è una purga. Faccia lei, segua l’ispirazione, però si muova. Le invio un sms con l’indirizzo. Lo memorizzi e lo cancelli, ci siamo capiti?»

Nino continua a fissare l’Assessore e anche il televisore dietro alle sue spalle sudate, quasi un tutt’uno con la camicia appiccicaticcia. L’avvocato non è un grande attore e il “triello” sfuma come il moccolo di una candela quando lo stoppino si esaurisce. Peccato, perché un bel finale pieno di suspence alza sempre il gradimento del film.

Sul sottopancia del canale all news i muri la fanno ancora da padrone. Una notizia in particolare fa rizzare i peli del coppino a Nino. Si riporta che forse la prima vittima dei muri e dei mattoni che spuntano da terra o piovono dal cielo potrebbe essere un ispettore del Comune, settore edilizia e concessioni. Tale Franco Di Pace, ricoverato in coma farmacologico al Niguarda dopo che un mattone vagante lo avrebbe colpito mentre effettuava un sopralluogo, con blocco del cantiere, nell’area dell’ex Fiera Campionaria di Milano.

Così la notizia sarebbe poco altro che una velina, però è l’Assessore a sparare il proiettile d’argento, come una roulette russa, ma con il revolver del colonnello Colt.

«Avvocato, io sono circondato ha capito? Mi volevano bloccare un cantiere in Fiera. Ho l’ufficio tecnico-edilizio del Comune che mi ha preso di mira e non so fino a quando riuscirò a tenerli a bada. Per ora ho tamponato, ma più di così non credo di poter fare. Lei non ha contatti con la massoneria, per caso? Mi devo attaccare a tutto, oramai. Ho messo i piedi e qualche uomo in due o tre congreghe, logge, come cazzo si chiamano, ma mi sembrano solo dei ciula con il doppio mento e l’alito pesante, che provano a scimmiottare quelli della P2. Capito? Cioè, gente che gioca a Monopoly e, alla fine, crede di essere ricca per davvero. Insomma, io devo recuperare ’sta chiavetta. Così faccio pulizia e a quelli dell’ufficio tecnico del Sindaco gliela metto in quel posto. Quel bolscevico vuole far fare gli affari solo ai suoi. Ma la Regione è la Regione e se c’è da mangiare vuole sedersi a tavola anche lei. Con tutti gli onori del caso, oltretutto.»

Nino adesso ha paura. Quella vera, che fa sudare la fronte, che blocca il cuore e stringe lo stomaco. Quella che ti mette di fronte a tutte le tue debolezze.

Poi, d’un tratto, un fragore di vetri che vanno in frantumi fa sobbalzare sia Nino che l’Assessore e tutto diventa più frenetico di un congresso di venditori di case.

 

ANo District,

Le ali della libertà

 

«Avvocato, metto giù che mi si è rotto un vetro. Avevo appena tirato su le tapparelle per cambiare aria.»

«Stai fermo lì, te» dice poi a Nino.

Lui non muove un muscolo. Annusa l’aria umida della notte, e sente l’inconfondibile rumore delle ali di Rafe'.

 

«Bravo, Fabietto, sei un fenomeno» dice Tonino mentre vede il tiro di fionda del suo amico e sente il rumore del vetro, indicato da Rafe’, che finisce in mille pezzi.

«Zao, ci sei?»

«E come no. Tre, due, uno e siamo dentro. Citofono craccato in quattro secondi netti.»

«A che piano andiamo?»
«Sayed, al quarto. Rafe’ si è fermato là.»

«In ascensore?»

«È bloccato.»

«No, ci vuole il codice, ma non c’è problema.»

Zao smanetta sul suo tablet onnipotente e in tre, due, uno l’ascensore si apre.

Salgono al piano e suonano al campanello.

L’idea in sé è semplice.

Chi apre la porta viene abbattuto da una delle potentissime pizze di Sayed, poi tutti dentro e si salvi chi può.

Molto naïf, soprattutto perché i ragazzini non sanno quante persone ci sono nell’appartamento con Nino.

Tonino suona e il cuore dei suoi due amici si ferma per non fare troppo rumore e tradirli.

 

«Chi cazzo è che suona?» urla l’Assessore. «Sarà mica quel coglione del custode. Che efficienza, però. Si rompe un vetro e quello lì, in piena notte, sale subito a vedere cos’è successo.»

Fa per andare ad aprire, poi si ricorda dell’AK-47. Sorride perché gli viene in mente che tanti anni fa, quando lui giocava a basket e la politica gli faceva ribrezzo, gli avevano raccontato di un tale Andrej Kirilenko che usava la maglia 47 e siccome era russo o roba del genere lo chiamavano come il fucile. Solo che adesso il basket è un ricordo sbiadito e il fucile non lo può mostrare al custode. Così, molla l’arma dietro all’ingresso e batte un pugno sulla porta dello sgabuzzino per calmare Zeus e Apollo, che abbaiano come degli ossessi.

«Buoni, buoni. Basta. Arrivo subito.»

La porta si apre e, non appena sull’uscio appare la faccia stravolta e troppo rubizza dell’Assessore, Sayed spara un ceffone che rimbomba per tutto il piano. L’omone accusa il colpo. Sembra riprendersi subito, ma poi crolla come un sacco vuoto. La sberla di Sayed, roba da campionato mondiale, gli ha fatto sbattere la testa contro il montante della porta blindata e il cervello ha staccato la spina.

«Centro, Sayed! Forza, tiriamolo dentro. Papà, papà, sei lì?»
L’Assessore pesa quasi novanta chili e in tre ci mettono un po’ a portarlo in anticamera. Zao gli leva la cintura e la usa per ammanettarlo, mentre Sayed fa lo stesso con le stringhe delle scarpe. Solo che gliele lega insieme.

«Tonino, so’ qua. Fai presto.»

I ragazzini entrano nello studio e hanno un attimo di spavento nel vedere Nino così provato.

«Uaglio’, non vi prendete paura. Recuperate il fucile che sta di là e cercategli nelle tasche le chiavi delle manette. Facite ampress’ che se si sceta so’ cazzi.»

Sayed va in corridoio e torna con l’AK-47 trascinato per la cinghia.

Zao trova le chiavi, mentre l’Assessore inizia a riprendersi.

«Brutti ladri di merda!»

Nino porge il polso a Tonino e si fa liberare, poi dà un bacio in fronte a figlio e dirige i ragazzini verso l’uscita.

Passando davanti all’assessore, non si trattiene e dalla tasca dei calzoni tira fuori la chiavetta.

«Secondo te mi mangio una chiavetta? Mentre eri girato a guardare i tuoi fogli che volavano fuori dal balcone, l’ho infilata in tasca e poi ho deglutito e ti ho raccontato la storiella. Vafammoc a chiteviv, strunz.»

L’Assessore non fa in tempo a smadonnare che la porta del suo appartamento si chiude.

Nino gli ha fregato le chiavi. Chiude a sei mandate e le lascia appese alla toppa.

Bisogna vincere, non strafare.

Una volta in cortile, proprio davanti al cespuglio che si vede dalle finestre dell’Assessore, Nino stringe le mani a tutti e dà un buffetto a Fabietto che li ha raggiunti.

«Che mira fina, Fabie’, mò però fatevi chiù in là che non ce la faccio più» dice Nino, mimando il segno del WC con le dita della mano destra.

Tutti ridono e Rafe' spara un gracchio.

Nino si cala dietro il cespuglio e si libera. Alza lo sguardo e, sul balcone, scorge la sagoma dell’Assessore che si trascina in cerca di aiuto.

I loro occhi si incrociano e quelli dell’Assessore sono infuocati dalla rabbia.

 

La bici elettrica di Nino e i monopattini volano come Rafe' verso via dei Cinquecento, quando Nino, in piazzale Maciachini, ferma tutti e chiede a Zao di dare un’occhiata alla chiavetta dell’Assessore.

Il cinesino sorride, attiva il suo tablet onnipotente e infila la pendrive.

Lo schermo si illumina, poi sembra fondersi con la città intera.

Centinaia e centinaia di linee rosse colorano la mappa di Milano.

«Cazzo!» dicono tutti insieme, e Rafe' fa loro eco con un potente «Cra!».

 

 

CONTINUA...

 

Aspettiamo i vostri suggerimenti per il prosieguo del romanzo!



4 commenti:

  1. Ecco lo spunto di Adamante:
    "Papà, lo sai che in città mettono tante gru?"

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  2. Ecco lo spunto di Fabio:
    Nino pensa all'Assessore, al suo appartamento enorme, ai suoi cagnetti fetenti, ai soldi che gli escono da tutte le parti. Ma stavolta a Nino, ladro d'eccellenza e d'onore, non interessano i soldi. Gli interessa inchiodare l'Assessore. Vuole capire davvero che cosa c'è dietro tutta questa storia dei muri, chi ci guadagna, come e a spese di chi, e farla pagare all'assessore. Perché i ricchi e i potenti non possono vincere sempre. Ogni tanto Golia finisce gambe all'aria ed è Davide a far saltare il banco. E quando i Davide sono quattro, oltretutto corretti in salsa Corvetto, per Golia non c'è davvero niente da fare.

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  3. Ecco lo spunto di Filippo:
    È quasi l'alba e c'è un gran silenzio nella sala d'aspetto dell'ospedale, ma Denali, anche se è stanca morta, non riesce a dormire. Non si è mossa di lì, non voleva rischiare di mettere in pericolo Ettore né allontanarsi da Marco. Così prende il diario di Jonathan, lo fissa un attimo, pensando che non è giusto ficcare il naso nei diari altrui, poi alza le spalle e lo apre. Sulla prima pagina c'è scritto: "Ritrovate ogni speranza o voi che leggete!". Lei sorride e inizia a sfogliarlo, ma subito si blocca: il resto è scritto in una lingua incomprensibile, forse un codice.

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  4. Ecco lo spunto di Irina:
    Denali d'improvviso capisce che deve fare qualcosa. Non può stare ferma lì ad aspettare. Il diario di Jonathan potrebbe essere la chiave di tutto. O comunque Jonathan potrebbe essere collegato a qualcuno di decisivo in questa storia. Denali deve ricongiungersi con lui. Salire sul tetto, sparare il razzo e aspettare che quelli dell'Osservatorio vengano a prendere i documenti. Poi andare con loro, chiunque siano. Certo, sperando che non arrivino a bordo di un mezzo angusto e claustrofobico. Ma comunque sia, è arrivato il momento di fare la sua parte: non vuole più stare a guardare e basta.

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