Ecco il terzo "spunto d'autore" di questa edizione di StraStorie ExtraLarge, ossia lo spunto su come proseguire la StraStoria dato al Trio Besola/Ferrari/Gallone - R/A/F da un collega scrittore. È la volta di Marcello Introna,
che oltre a essere autore di romanzi è veterinario. Non è quindi un
caso che il suo suggerimento – in realtà un vero e proprio capitolo
extra, una sorta di bonus track 😎 – abbia come protagonista un animale... Se volete scoprire quale, leggetelo!
Liscione, che per tutto il tempo era stato concentrato a cercare di formare un riccio tirabaci con la brillantina ormai indurita, fece un balzo per lo spavento e le tre nutrie, in virtù di un antico istinto nutrico, si ritrovarono schiena contro schiena al centro di quello che era stato un ufficio nelle torre abbandonata. Raf si era spostata con un balzo sul parapetto della finestra e una specie di piccolo tornado aveva preso a vorticare sul fondo della stanza, a un centimetro dal pavimento.
Le tre nutrie giravano la testa di qua e di là, incapaci di cogliere altro se non fruscii attorno a loro, e fu la voce della cornacchia a riportare la quiete nella stanza.
“Ratti!” esclamò l’uccello, e il tornado basso scomparve.
… da dietro la stessa scrivania un topo piuttosto massiccio, con la riga di lato, i baffi orientati all’insù e un paio di calzoncini rossi e scampanati avanzò lento in posizione eretta e con una certa spavalderia.
“Uh, chi si vede… Liscione…” disse il ratto con nervosissima calma, e un’eco massiccia palesò la presenza del resto della sua banda.
“Lisciooooone” ripeterono in coro i topi che nel frattempo erano venuti fuori dai mille nascondigli che quelle rovine offrivano.
Jake guardò Liscione, Raf guardò Liscione, Scolo guardò Liscione, i topi guardarono Liscione.
“Che cacchio avete da guardare?” chiese lui.
Intanto il capo ratto, quello con i calzoncini rossi e la riga di lato, era arrivato a meno di un metro dalle nutrie.
“Liscione… hai sconfinato…” disse.
“Io? Quando mai?”
“Non provare a negare, hai lasciato una scia di quella brillantina puzzolente che ti metti sulla pelliccia. Hai mangiato il nostro formaggio. Hai infranto il patto di non belligeranza e ora… GUERRA… GUERRA… GUERRA!” urlò il topo, cui non mancò una seconda eco stavolta furibonda. Mentre l’attacco stava per essere sferrato Jake fece un balzo in avanti, prendendo di sorpresa il plotone di ratti che a sua volta fece un balzo, senza che però nessuno attaccasse nessuno.
“Ora basta, che storia sarebbe questa?” incalzò Jake all’indirizzo del ratto in calzoncini.
“Secondo le regole del nostro patto ci ignoriamo a vicenda. Questo signore ha fatto man bassa nel nostro magazzino. Il patto è stato tradito! GUERRA!”
“Hai ragione, ma lui è uno solo. Non rappresenta l’agire di tutti.”
“Chi se ne frega” replicò il topo.
“Come chi se ne frega?”
“Senti, Che Guevara… io vi ammazzo tutti lo stesso” minacciò il topo.
Era un ratto milanese, ma di prima generazione. I suoi genitori venivano da Bari ed erano emigrati tempo prima perché sul lungomare della città adriatica, tra gabbiani, colombi e sovraffollamento della loro stessa comunità, il cibo non bastava più per tutti. Era una prassi triste, comune a molti ratti del Sud, e loro come tanti avevano sfruttato il “passaggio” di un camion che trasportava chincaglierie cinesi, salutando con malinconia il porto e la sua striscia di mare turchese alla volta della Lombardia e delle sue “possibilità”. Lui, quello in calzoncini rossi, era nato subito dopo a Truccazzano, tifava per l’Inter ed era il leader indiscusso di quella banda di ratti.
“Vi ammazzo tutti” ripeté il boss a Jake, che gli fece un largo sorriso porgendogli la zampa.
“Mi chiamo Jake.”
“Uhm…” disse l’altro sospettoso. Dopotutto una nutria era pur sempre venuta meno al patto di non belligeranza, e per quanto il discorso sulle responsabilità dei singoli in riferimento al tutto non gli fosse indifferente, ancora non poteva fidarsi.
“Piacere… Meo” disse infine il topo, ma senza porgere la zampa.
“Meo? Che nome sarebbe?”
“È un diminutivo.”
“Di cosa?” si incuriosì Jake.
“Di Rattolomeo.”
“Ahahahahahahah!!!” scoppiò a ridere Jake.
“Che cacchio ridi?” lo fulminò con lo sguardo l’altro.
“Ma non sorridi mai?” chiese Luca ad Anna, mentre seduti su una panchina di parco Sempione si riposavano un po’. Avevano camminato ore durante le quali si erano scambiati solo qualche parola. Luca cercava di dissimulare, ma il suo sguardo era fisso, come se fosse sotto l’effetto di un sortilegio che non gli permetteva di fare altro se non guardare la ragazza. Lei se n’era accorta, ma fingeva il contrario perché la cosa la divertiva e non voleva mettere in imbarazzo quel ragazzo che gli ricordava suo padre non certo fisicamente, ma concettualmente. Anche lui aveva “scelto” di non esistere più per la società, barattando di buon grado la comodità di letti e riscaldamenti autonomi con panchine, ponti e stelle, e questo gli dava un fascino particolare, quello che hanno le persone alle quali si conferisce ogni abilità. Del resto, se uno sopravvive per strada, di inverno, in una città non propriamente dal clima tropicale come Milano, può fare qualsiasi cosa. Anche sparire nel nulla da un momento all’altro, lasciandosi dietro un occhio di vetro e il ricordo di un romanzo.
“Dove sei…” disse a fior di labbra la ragazza, parlando fra sé. Luca le era accanto, ed essendo un uomo acuto decise che avrebbe taciuto, perché non aveva risposta a una domanda che, sebbene fossero solo in due su quella panchina, era evidente non fosse diretta a lui. “Perché ti sei andato a rifugiare in quella torre cadente, da cosa scappi…?” continuò con l’autointerrogatorio Anna, mentre le dita delle sue mani si attorcigliavano tra loro febbrilmente, come serpenti in lotta eterna per una supremazia che non si sarebbe mai definita.
“Lo troveremo…” sussurrò Luca poggiando il palmo sul nido di serpenti che si chetarono subito, ritornando a essere dita.
“Dobbiamo trovare un amico” disse Scolo a Rattolomeo che, sempre sospettoso, soppesava ogni palpito e respiro in quella stanza piena di calcina.
“Chi cercate?” chiese il boss.
“Il Malandato: è un senzatetto che è sparito da un po’. Gli avevano prestato una copia dei Miserabili che non ha restituito e alla fine… è sparito pure lui. Ha dormito in questo posto ultimamente, perché ha un occhio di vetro e Raf, la cornacchia, l’ha ritrovato qui. L’avete visto voi, per caso?” concluse Jake.
“Qui le domande le faccio io” lo annichilì Rattolomeo inspirando profondamente, così tanto profondamente che fu chiaro a tutti che il passo successivo sarebbe stato una frase solenne. “Un uomo con un occhio di vetro ha dormito qui qualche notte. Ma questo non è importante. Importante è fare i conti. Dico bene, Liscione?”
I ratti si fecero un cenno che passò di muso in muso, ed era evidente che fossero pronti. Liscione avrebbe pagato le sue intemperanze sulla sua stessa pelliccia, perché prima di arrivare alla pelle c’era quella, e a giudicare da quanto affilati erano gli incisivi dei suoi piccoli cugini – sempre di roditori si trattava – avrebbe rimpianto amaramente quella sua golosità. Se avesse potuto tornare indietro non avrebbe più toccato il formaggio dei topi, ma tornare indietro non si poteva e chiuse gli occhi in attesa di un castigo che per sua fortuna non arrivò mai, perché nel mentre Raf si era librata in volo e, dopo un paio di cerchi larghi, aveva puntato la merenda di due muratori in pausa. Mentre gli uomini erano intenti a lavarsi le mani era piombata sul loro cestino sottraendo un bel pezzo di formaggio parmigiano, di quelli a forma di piramide, e lo aveva consegnato a Rattolomeo.
“Siamo pari adesso” disse la cornacchia al boss dei ratti.
“Non siamo pari affatto. Abbiamo ricevuto un’offesa e va lavata con il sangue”.
“Eh, che palle, oh! E chi sei, Rattolomeo Eastwood? Il ratto dagli occhi di ghiaccio?” intervenne il rivitalizzato Liscione.
“Stai zitto tu, che se ci troviamo in questa situazione lo dobbiamo solo a te” lo gelò Scolo.
“Cosa possiamo fare per evitare… sì, insomma che quest’onta venga lavata col sangue?”. chiese Jake all’indirizzo del concistoro di ratti.
“La nostra parte” replicò Rattolomeo.
“Cioè?” ribatté Jake.
“Dite alla gattara di mettere due coppette di croccantini anche per noi. Per noi che siamo piccoli… e possiamo percorrere strade che voi nemmeno sospettate esistere. Abbiamo orecchie acute e abbiamo sentito i discorsi del Malandato. Possiamo aiutarvi se accettate, o possiamo menarvi se non accettate. A voi l’ardua sentenza” declamò solenne Rattolomeo.
Jake, Scolo, Raf e Liscione diedero vita a un fugace scambio di sguardi tra loro, rimanendo in silenzio, e alla fine Jake annuì.
“Va bene. Hai la mia parola. Pace?” concluse tendendogli nuovamente la zampa che stavolta Rattolomeo cinse con la sua.
“Pace” disse il topo in calzoncini.
In effetti i ratti erano decisamente più piccoli delle nutrie e degli umani, e passavano molto più inosservati di una cornacchia. Loro potevano percorrere strade che i nostri nemmeno sapevano esistere e, com’era stato detto, avevano sentito con le loro orecchie acute i discorsi del Malandato. Per i topi muoversi da una parte all’altra della città era un gioco da ragazzi ed erano gli unici a conoscere i segreti che si celavano sotto la superficie del Duomo. Quell’insieme dedalico di tunnel sconfinati, una sorta di sistema nervoso con nervi dal diametro ridotto, così ridotto da permettere il passaggio solo a loro, i ratti che ne erano ormai i padroni incontrastati.
StraStorie ExtraLarge: un romanzo scritto attraverso l’interazione con i lettori
Un format di narrazione condivisa di Valeria Ravera
Con Riccardo Besola, Andrea B. Ferrari e Francesco Gallone
In collaborazione con la libreria Covo della Ladra - Ladra di Libri
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
Musiche di Alessandro Arbuzzi
Incursioni di Oliviero Ponte Di Pino
Supporto tecnico di Giorgio Paolo Albani
Dal vivo: 21 marzo, 4 e 18 aprile, 9 e 23 maggio, 6 giugno 2018 (ore 19), al Binario 9 e ¾ della Libreria Covo della Ladra, Milano
Sul web: www.strastorie.it e facebook.com/strastorie
#strastorie #giallo #scrivere #guendalinaravazzoni #JakelaNutria #covodellaladra #Milano #Martesana #santanutria #alessandroarbuzzi #olivieropdpgo #iguanavegana
Capitolo 10
In cui il patto di non belligeranza con i ratti vacilla
Jake si era incantato a guardare un disco tra gli altri. Erano stati
rosicchiati tutti dai topi, ma quella vecchia copia di Powerage degli
AC/DC aveva solo un piccolo raschio nella parte centrale, vicino alla
scritta “33 giri” e all’immagine solarizzata di un chitarrista folgorato
da 220 volts. Mentre Scolo e Raf rimuginavano sul possibile significato
di un posto tanto isolato, qualcosa si mosse sulla scrivania nella
stanza, scompigliando i fogli che stavano abbandonati lì chissà da
quanto.In cui il patto di non belligeranza con i ratti vacilla
Liscione, che per tutto il tempo era stato concentrato a cercare di formare un riccio tirabaci con la brillantina ormai indurita, fece un balzo per lo spavento e le tre nutrie, in virtù di un antico istinto nutrico, si ritrovarono schiena contro schiena al centro di quello che era stato un ufficio nelle torre abbandonata. Raf si era spostata con un balzo sul parapetto della finestra e una specie di piccolo tornado aveva preso a vorticare sul fondo della stanza, a un centimetro dal pavimento.
Le tre nutrie giravano la testa di qua e di là, incapaci di cogliere altro se non fruscii attorno a loro, e fu la voce della cornacchia a riportare la quiete nella stanza.
“Ratti!” esclamò l’uccello, e il tornado basso scomparve.
… da dietro la stessa scrivania un topo piuttosto massiccio, con la riga di lato, i baffi orientati all’insù e un paio di calzoncini rossi e scampanati avanzò lento in posizione eretta e con una certa spavalderia.
“Uh, chi si vede… Liscione…” disse il ratto con nervosissima calma, e un’eco massiccia palesò la presenza del resto della sua banda.
“Lisciooooone” ripeterono in coro i topi che nel frattempo erano venuti fuori dai mille nascondigli che quelle rovine offrivano.
Jake guardò Liscione, Raf guardò Liscione, Scolo guardò Liscione, i topi guardarono Liscione.
“Che cacchio avete da guardare?” chiese lui.
Intanto il capo ratto, quello con i calzoncini rossi e la riga di lato, era arrivato a meno di un metro dalle nutrie.
“Liscione… hai sconfinato…” disse.
“Io? Quando mai?”
“Non provare a negare, hai lasciato una scia di quella brillantina puzzolente che ti metti sulla pelliccia. Hai mangiato il nostro formaggio. Hai infranto il patto di non belligeranza e ora… GUERRA… GUERRA… GUERRA!” urlò il topo, cui non mancò una seconda eco stavolta furibonda. Mentre l’attacco stava per essere sferrato Jake fece un balzo in avanti, prendendo di sorpresa il plotone di ratti che a sua volta fece un balzo, senza che però nessuno attaccasse nessuno.
“Ora basta, che storia sarebbe questa?” incalzò Jake all’indirizzo del ratto in calzoncini.
“Secondo le regole del nostro patto ci ignoriamo a vicenda. Questo signore ha fatto man bassa nel nostro magazzino. Il patto è stato tradito! GUERRA!”
“Hai ragione, ma lui è uno solo. Non rappresenta l’agire di tutti.”
“Chi se ne frega” replicò il topo.
“Come chi se ne frega?”
“Senti, Che Guevara… io vi ammazzo tutti lo stesso” minacciò il topo.
Era un ratto milanese, ma di prima generazione. I suoi genitori venivano da Bari ed erano emigrati tempo prima perché sul lungomare della città adriatica, tra gabbiani, colombi e sovraffollamento della loro stessa comunità, il cibo non bastava più per tutti. Era una prassi triste, comune a molti ratti del Sud, e loro come tanti avevano sfruttato il “passaggio” di un camion che trasportava chincaglierie cinesi, salutando con malinconia il porto e la sua striscia di mare turchese alla volta della Lombardia e delle sue “possibilità”. Lui, quello in calzoncini rossi, era nato subito dopo a Truccazzano, tifava per l’Inter ed era il leader indiscusso di quella banda di ratti.
“Vi ammazzo tutti” ripeté il boss a Jake, che gli fece un largo sorriso porgendogli la zampa.
“Mi chiamo Jake.”
“Uhm…” disse l’altro sospettoso. Dopotutto una nutria era pur sempre venuta meno al patto di non belligeranza, e per quanto il discorso sulle responsabilità dei singoli in riferimento al tutto non gli fosse indifferente, ancora non poteva fidarsi.
“Piacere… Meo” disse infine il topo, ma senza porgere la zampa.
“Meo? Che nome sarebbe?”
“È un diminutivo.”
“Di cosa?” si incuriosì Jake.
“Di Rattolomeo.”
“Ahahahahahahah!!!” scoppiò a ridere Jake.
“Che cacchio ridi?” lo fulminò con lo sguardo l’altro.
“Ma non sorridi mai?” chiese Luca ad Anna, mentre seduti su una panchina di parco Sempione si riposavano un po’. Avevano camminato ore durante le quali si erano scambiati solo qualche parola. Luca cercava di dissimulare, ma il suo sguardo era fisso, come se fosse sotto l’effetto di un sortilegio che non gli permetteva di fare altro se non guardare la ragazza. Lei se n’era accorta, ma fingeva il contrario perché la cosa la divertiva e non voleva mettere in imbarazzo quel ragazzo che gli ricordava suo padre non certo fisicamente, ma concettualmente. Anche lui aveva “scelto” di non esistere più per la società, barattando di buon grado la comodità di letti e riscaldamenti autonomi con panchine, ponti e stelle, e questo gli dava un fascino particolare, quello che hanno le persone alle quali si conferisce ogni abilità. Del resto, se uno sopravvive per strada, di inverno, in una città non propriamente dal clima tropicale come Milano, può fare qualsiasi cosa. Anche sparire nel nulla da un momento all’altro, lasciandosi dietro un occhio di vetro e il ricordo di un romanzo.
“Dove sei…” disse a fior di labbra la ragazza, parlando fra sé. Luca le era accanto, ed essendo un uomo acuto decise che avrebbe taciuto, perché non aveva risposta a una domanda che, sebbene fossero solo in due su quella panchina, era evidente non fosse diretta a lui. “Perché ti sei andato a rifugiare in quella torre cadente, da cosa scappi…?” continuò con l’autointerrogatorio Anna, mentre le dita delle sue mani si attorcigliavano tra loro febbrilmente, come serpenti in lotta eterna per una supremazia che non si sarebbe mai definita.
“Lo troveremo…” sussurrò Luca poggiando il palmo sul nido di serpenti che si chetarono subito, ritornando a essere dita.
“Dobbiamo trovare un amico” disse Scolo a Rattolomeo che, sempre sospettoso, soppesava ogni palpito e respiro in quella stanza piena di calcina.
“Chi cercate?” chiese il boss.
“Il Malandato: è un senzatetto che è sparito da un po’. Gli avevano prestato una copia dei Miserabili che non ha restituito e alla fine… è sparito pure lui. Ha dormito in questo posto ultimamente, perché ha un occhio di vetro e Raf, la cornacchia, l’ha ritrovato qui. L’avete visto voi, per caso?” concluse Jake.
“Qui le domande le faccio io” lo annichilì Rattolomeo inspirando profondamente, così tanto profondamente che fu chiaro a tutti che il passo successivo sarebbe stato una frase solenne. “Un uomo con un occhio di vetro ha dormito qui qualche notte. Ma questo non è importante. Importante è fare i conti. Dico bene, Liscione?”
I ratti si fecero un cenno che passò di muso in muso, ed era evidente che fossero pronti. Liscione avrebbe pagato le sue intemperanze sulla sua stessa pelliccia, perché prima di arrivare alla pelle c’era quella, e a giudicare da quanto affilati erano gli incisivi dei suoi piccoli cugini – sempre di roditori si trattava – avrebbe rimpianto amaramente quella sua golosità. Se avesse potuto tornare indietro non avrebbe più toccato il formaggio dei topi, ma tornare indietro non si poteva e chiuse gli occhi in attesa di un castigo che per sua fortuna non arrivò mai, perché nel mentre Raf si era librata in volo e, dopo un paio di cerchi larghi, aveva puntato la merenda di due muratori in pausa. Mentre gli uomini erano intenti a lavarsi le mani era piombata sul loro cestino sottraendo un bel pezzo di formaggio parmigiano, di quelli a forma di piramide, e lo aveva consegnato a Rattolomeo.
“Siamo pari adesso” disse la cornacchia al boss dei ratti.
“Non siamo pari affatto. Abbiamo ricevuto un’offesa e va lavata con il sangue”.
“Eh, che palle, oh! E chi sei, Rattolomeo Eastwood? Il ratto dagli occhi di ghiaccio?” intervenne il rivitalizzato Liscione.
“Stai zitto tu, che se ci troviamo in questa situazione lo dobbiamo solo a te” lo gelò Scolo.
“Cosa possiamo fare per evitare… sì, insomma che quest’onta venga lavata col sangue?”. chiese Jake all’indirizzo del concistoro di ratti.
“La nostra parte” replicò Rattolomeo.
“Cioè?” ribatté Jake.
“Dite alla gattara di mettere due coppette di croccantini anche per noi. Per noi che siamo piccoli… e possiamo percorrere strade che voi nemmeno sospettate esistere. Abbiamo orecchie acute e abbiamo sentito i discorsi del Malandato. Possiamo aiutarvi se accettate, o possiamo menarvi se non accettate. A voi l’ardua sentenza” declamò solenne Rattolomeo.
Jake, Scolo, Raf e Liscione diedero vita a un fugace scambio di sguardi tra loro, rimanendo in silenzio, e alla fine Jake annuì.
“Va bene. Hai la mia parola. Pace?” concluse tendendogli nuovamente la zampa che stavolta Rattolomeo cinse con la sua.
“Pace” disse il topo in calzoncini.
In effetti i ratti erano decisamente più piccoli delle nutrie e degli umani, e passavano molto più inosservati di una cornacchia. Loro potevano percorrere strade che i nostri nemmeno sapevano esistere e, com’era stato detto, avevano sentito con le loro orecchie acute i discorsi del Malandato. Per i topi muoversi da una parte all’altra della città era un gioco da ragazzi ed erano gli unici a conoscere i segreti che si celavano sotto la superficie del Duomo. Quell’insieme dedalico di tunnel sconfinati, una sorta di sistema nervoso con nervi dal diametro ridotto, così ridotto da permettere il passaggio solo a loro, i ratti che ne erano ormai i padroni incontrastati.
StraStorie ExtraLarge: un romanzo scritto attraverso l’interazione con i lettori
Un format di narrazione condivisa di Valeria Ravera
Con Riccardo Besola, Andrea B. Ferrari e Francesco Gallone
In collaborazione con la libreria Covo della Ladra - Ladra di Libri
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
Musiche di Alessandro Arbuzzi
Incursioni di Oliviero Ponte Di Pino
Supporto tecnico di Giorgio Paolo Albani
Dal vivo: 21 marzo, 4 e 18 aprile, 9 e 23 maggio, 6 giugno 2018 (ore 19), al Binario 9 e ¾ della Libreria Covo della Ladra, Milano
Sul web: www.strastorie.it e facebook.com/strastorie
#strastorie #giallo #scrivere #guendalinaravazzoni #JakelaNutria #covodellaladra #Milano #Martesana #santanutria #alessandroarbuzzi #olivieropdpgo #iguanavegana
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