Ecco a voi l'incipit di StraStorie Audio Edition scritto da Francesco Gungui: buona lettura e via agli spunti su come continuare il racconto!
Illustrazione di Guendalina Ravazzoni |
L’INCIPIT. “Non è tutto qui”
di Francesco Gungui
Mi trovo davanti a un portone di legno di un palazzo d’epoca appena
fuori dalla circonvallazione, con in mano un mazzo variopinto di fiori:
gigli, rose, margherite.
Controllo l’ora sul cellulare: le 8.30.
Mi guardo attorno in cerca di un bar e ne scorgo uno, a un centinaio di metri di distanza, sull’altro lato della strada: qualche tavolo di plastica rossa della Coca-Cola sul marciapiede, due ombrelloni sbiaditi, una donna cinese in piedi sulla porta con le braccia conserte.
Lo raggiungo a passo spedito, tenendo il mazzo di fiori un po’ nascosto sotto la giacca, quindi entro e, dopo aver appurato che non c’è anima viva, ordino un caffè e vado a sedermi in un angolo, vicino a una slot machine spenta. Metto il mazzo di fiori sulla sedia di fronte a me, sotto il tavolo. Fa niente se si rovinano un po’.
Lo schermo del cellulare si illumina: una videochiamata, da Fabio. Schiaccio la cornetta rossa e lo richiamo.
“Perché hai rifiutato la videochiamata?” mi chiede lui.
“Tutto bene?”
“Sì, sì. Nicolò vuole salutarti prima di entrare a scuola. Ha detto che altrimenti non ci va. Possiamo fare ’sta benedetta videochiamata?”
“Va bene.”
Attacco. Mi guardo attorno. La parete alle mie spalle è una normalissima parete bianca, così mi ci metto contro di schiena e faccio partire la videochiamata, avendo cura di tenere l’inquadratura ben stretta sulla mia faccia.
“Ciao mamma” mi saluta Nicolò col tono sconsolato. Ha gli occhi lucidi, deve aver pianto. Alle sue spalle, sullo schermo, compare Fabio con l’espressione scocciata.
“Ma dove sei?” mi chiede Nicolò.
“Dal dottore, te l’ho detto, no? Sono in sala d’aspetto.”
La donna cinese mi rivolge un sorriso divertito da dietro il bancone.
“Posso non andare a scuola?” mi chiede Nicolò.
“E dove vai? Il papà deve andare a lavorare. Non puoi mica stare a casa da solo.”
“Vado dalla nonna. La nonna è a casa da sola.”
“Ho capito, ma non è questo il punto. Devi andare a scuola, lo sai.”
“Perché? Dai, solo per oggi” praticamente mi supplica.
“Amore mio” gli dico e gli do un bacio, cioè, sfioro proprio la telecamera con le labbra, mentre lui appoggia una guancia sullo schermo. Poi mi saluta, riconsegna il telefono a suo padre e si allontana.
“Comunque non possiamo andare avanti così” mi dice Fabio dimenticandosi che siamo ancora in videochiamata e offrendomi così un’inquadratura sfocata del suo orecchio.
“Così come?”
“Tu e questa storia dell’ipersensibilità.”
“Cosa c’entra adesso?”
“Lasciamo perdere, va’. Ciao.”
Bevo il caffè, vado in bagno ed esco dal bar. Quando mi trovo di nuovo davanti al portone, sono le 8.50. Decido di entrare. Suono al numero 9 e attendo. Un ronzio metallico, la serratura scatta e, con mia sorpresa, il portone si apre automaticamente.
“Valeria, ciao!”
Una voce familiare alle mie spalle. Mi giro. La vedo.
“Ciao Stefania!” la saluto allegramente e intanto butto a terra i fiori oltre il portone.
“Come mai da queste parti? Abiti qui?”
“No, in realtà no, sono… sto facendo un favore a una collega, devo recuperare dei documenti ma, vabbe’, una storia lunga, e poco interessante. Tu come stai?”
“Io bene, dai. Hai tempo per un caffè?”
“Guarda, vorrei ma sono un po’ di fretta. Però sentiamoci.”
Nel frattempo ho sempre una gamba oltre il portone e una ancora sul marciapiede. Stefania non accenna ad andarsene.
“Senti” mi dice. “Mi dispiace molto per quella storia. Volevo dirtelo. So che ci conosciamo poco e io, in teoria, sono amica di Fabio. Però lui è stato uno stronzo.”
Sorrido. “Sì, è quello che penso anche io.”
“Ti voglio anche dire che non so niente. Non gli parlo da allora, quindi non so che cosa… insomma, non so niente di voi al momento, però ci tenevo a dirti queste cose. E se hai bisogno, per qualsiasi cosa, chiama.”
“Va bene, grazie.”
Una volta sola, mi precipito dentro al portone, recupero da terra il mazzo di fiori e ricontrollo velocemente le istruzioni che mi sono segnata sul cellulare: in fondo al cortile, scala b, terzo piano, prima porta a destra.
Mi affretto lungo le scale e, non appena individuo la porta, suono. Mi viene ad aprire una donna indiana sulla quarantina con un grembiule legato in vita e uno straccio in mano. Mi fa cenno di accomodarmi nell’ingresso, uno stretto corridoio in penombra con quattro sedie di legno bianco e stoffa gialla. Su due delle quattro sedie, ci sono un uomo sulla quarantina, camicia bianca, giacca sportiva e auricolare senza fili nell’orecchio, e una ragazza obesa che potrebbe avere venticinque anni o giù di lì.
“Buongiorno” sussurro e loro ricambiano con un sorriso e un sussurro. In fondo al corridoio, oltre una porta a vetri illuminata, si intravedono delle ombre che si muovono al ritmo di una litania monotona, come se qualcuno stesse recitando una preghiera, o un incantesimo.
Trascorrono alcuni minuti durante i quali mi concentro sul respiro come ho imparato a fare al corso di mindfulness. Sento l’aria che entra dalle narici e il ventre che si gonfia leggermente, poi espiro lentamente e così via. Dalla porta a vetri esce una donna anziana piuttosto distinta, ci passa davanti rivolgendoci un sorriso appena accennato, poi se ne va.
“È la prima volta?” chiedo alla ragazza obesa.
Lei sorride e si limita a scuotere piano la testa. “Per lei?”
“Sì, sì. Sono un po’… emozionata.”
“Immagino.”
Non aggiunge altro, nessuna parola di rassicurazione, nessun commento.
L’uomo sulla quarantina si alza di colpo sussurrando un “Scusa, ma non posso parlare ora”. Si ferma vicino alla porta.
“Ne abbiamo già discusso, Alessandra” dice con tono sempre appena sussurrato. “Lo faccio perché è l’unico modo. Credi che mi piaccia? A me? Credi che io sia uno che fa… queste cose?... Sì, esatto, a mali estremi. E ti sembra che questo non sia un male estremo?... No, non cura i tumori, però ti dice… vabbe’.”
Attacca.
E torna a sedersi.
La porta in fondo al corridoio si apre e compare la sagoma di una donna in controluce. “Sara?”
“Sara.” Ho un attimo di incertezza, ma so bene che sta chiamando me. Mi alzo e la raggiungo. Ci stringiamo la mano e lei mi fa accomodare nel suo studio, una stanza quadrata con un tavolo di legno dall’aria antica, due poltrone, un lettino di quelli per fare i massaggi e nient’altro. Appesi alla parete ci sono diversi attestati e diplomi che scorro velocemente con lo sguardo. Su uno c’è scritto “master reiki”.
Ci sediamo sulle poltrone in pelle, una di fronte all’altra, in silenzio.
“Come sta?” mi chiede inclinando appena la testa di lato.
Inspiro prima di rispondere e così mi esce un “bene” tremolante e poco convincente.
“Vuole un bicchier d’acqua?”
“No, grazie. Mi scusi, eh, in effetti sono un po’ agitata.”
“Capita. Vuole raccontarmi qualcosa? Lei sa già come funziona, no?”
“La mia amica mi ha spiegato, sì” dico gettando uno sguardo ai fiori che ho appoggiato sul tavolo.
La donna annuisce e sorride.
“Ecco, io è la prima volta che faccio una cosa del genere. Non è molto… da me. Cioè, ho fatto meditazione, yoga, sono stata da una psicoterapeuta e… ma, ecco, se non fosse che la mia amica mi ha parlato così bene di lei, non avrei cercato da sola una cosa del genere.”
La donna annuisce di nuovo con l’aria di chi ha già sentito molte volte simili preamboli.
“Il fatto è che mi trovo in una situazione complicata. Non so bene da che parte cominciare.”
La donna esita qualche secondo. “Come forse saprà, non serve che mi racconti niente in particolare. Vogliamo sentire i chakra prima?”
Annuisco. “Va bene.”
Mi sdraio sul lettino togliendo solo le scarpe. La donna mi mette una mano sopra la fronte, senza toccarmi, e poi la fa scorrere su e giù dalla testa fino alle gambe, sempre rimanendo a pochi centimetri dal corpo. Non percepisco nessuna sensazione, nessun calore, sento solo il mio respiro trattenuto e l’agitazione che sale.
“C’è qualcosa di bloccato qui” mi dice mentre la sua mano è ferma all’altezza della gola. “Il settimo e il sesto chakra sono ben aperti, è chiaro che lei vede, vede molto…”
Su queste parole si ferma e mi guarda negli occhi rivolgendomi un’occhiata di intesa che non colgo.
“Vede ma non dice, non esprime i suoi pensieri e le sue emozioni. E il suo quinto chakra è bloccato. In questo modo l’energia non scorre, non fluisce, rimane per così dire, nella sua testa, ma il cuore soffre, il corpo soffre.”
Si sposta ai piedi del lettino e appoggia le mani sui miei piedi, questa volta li tocca proprio. “È come se lei non avesse ancora piantato le radici. Come se stesse ancora aspettando qualcosa.”
Mi rimetto le scarpe, ci ritrasferiamo sulle poltrone mi accorgo con una certa sorpresa di sentirmi un po’ meglio. Il respiro è più fluido, avverto una strana sensazione di calore in tutto il corpo.
“Vuole dirmi qualcosa adesso, prima della domanda?” mi chiede la donna.
“Sì, sì.”
“Prego.”
“Ci sono tante cose che potrei raccontare riguardo a mio marito, i miei figli, la mia vita ora… non tutto è perfetto, anzi, alcuni… avvenimenti sono la causa diretta della mia presenza qui. Però il punto è un altro. È che io sento qualcosa in me che non so spiegare, qualcosa che c’è sempre stato evidentemente, ma che io ho ascoltato solo in parte e, ci tengo a essere chiara, questo è tutto quello che so, non sto per farle nessuna rivelazione. Tante volte questa sensazione prende forma nella mia testa e mi dico “non è tutto qui, lo so”.”
Sento un nodo alla gola e sono costretta a fermarmi. Una lacrima mi scivola lungo la guancia. La donna mi sorride rassicurante prima di parlare.
“Ha già in mente una domanda?”
“No, non proprio. Mi verrebbe quasi da chiedere a lei cosa è meglio domandare.”
“Capisco, ma non funziona così. Scelga lei un punto da dove partire, tanto lui poi sente anche le cose che lei non chiede.”
“Lui?” ripeto un po’ spaesata.
“La sua amica mi sa che non le ha raccontato proprio tutto.”
Scuoto la testa.
“Lui è lo spirito col quale sono in contatto da ormai molti anni. È lui che risponde alle persone che si rivolgono a me. O meglio, risponde dettando nella mia mente una risposta che poi io scrivo e che le leggerò.”
“Ma lui chi è? O… dov’è?”
“Non è facile da spiegare se non si è mai interessata di questi temi. Lui non è fuori da me, non è da un’altra parte. Perché l’aldilà è… qui, accanto a noi. Sul serio la sua amica non le aveva detto niente?”
“Non mi aveva parlato di un lui, però sapevo che la sua… risposta, la sua visione, proveniva da, insomma, dall’aldilà.”
“Bene, lo immagini allora semplicemente come un aldiqua molto più grande. Ora la ascolto.”
Inspiro ed espiro ancora per qualche secondo, mentre cerco di mettere a fuoco la domanda.
“Non voglio sapere tutto, non pretendo e non desidero conoscere il mio futuro come se fosse un libro stampato. Ma sono preoccupata, per Fabio, per come stanno andando le cose tra noi. Per Nicolò, io credo davvero che lui abbia qualcosa di speciale, ma è qualcosa che lo rende anche fragile. E per me, perché a volte mi sembra di non sapere più chi sono davvero…”
“Queste sono tante domande, però. Dovrebbe scegliere un punto da cui cominciare.”
Ci penso ancora e mi rendo conto che questa possibilità, mai contemplata prima, mi sta dando alla testa.
“Che cosa accadrà?” chiedo. “Anzi, no. C’è qualcosa… che dovrei sapere, adesso, del mio futuro?”
Controllo l’ora sul cellulare: le 8.30.
Mi guardo attorno in cerca di un bar e ne scorgo uno, a un centinaio di metri di distanza, sull’altro lato della strada: qualche tavolo di plastica rossa della Coca-Cola sul marciapiede, due ombrelloni sbiaditi, una donna cinese in piedi sulla porta con le braccia conserte.
Lo raggiungo a passo spedito, tenendo il mazzo di fiori un po’ nascosto sotto la giacca, quindi entro e, dopo aver appurato che non c’è anima viva, ordino un caffè e vado a sedermi in un angolo, vicino a una slot machine spenta. Metto il mazzo di fiori sulla sedia di fronte a me, sotto il tavolo. Fa niente se si rovinano un po’.
Lo schermo del cellulare si illumina: una videochiamata, da Fabio. Schiaccio la cornetta rossa e lo richiamo.
“Perché hai rifiutato la videochiamata?” mi chiede lui.
“Tutto bene?”
“Sì, sì. Nicolò vuole salutarti prima di entrare a scuola. Ha detto che altrimenti non ci va. Possiamo fare ’sta benedetta videochiamata?”
“Va bene.”
Attacco. Mi guardo attorno. La parete alle mie spalle è una normalissima parete bianca, così mi ci metto contro di schiena e faccio partire la videochiamata, avendo cura di tenere l’inquadratura ben stretta sulla mia faccia.
“Ciao mamma” mi saluta Nicolò col tono sconsolato. Ha gli occhi lucidi, deve aver pianto. Alle sue spalle, sullo schermo, compare Fabio con l’espressione scocciata.
“Ma dove sei?” mi chiede Nicolò.
“Dal dottore, te l’ho detto, no? Sono in sala d’aspetto.”
La donna cinese mi rivolge un sorriso divertito da dietro il bancone.
“Posso non andare a scuola?” mi chiede Nicolò.
“E dove vai? Il papà deve andare a lavorare. Non puoi mica stare a casa da solo.”
“Vado dalla nonna. La nonna è a casa da sola.”
“Ho capito, ma non è questo il punto. Devi andare a scuola, lo sai.”
“Perché? Dai, solo per oggi” praticamente mi supplica.
“Amore mio” gli dico e gli do un bacio, cioè, sfioro proprio la telecamera con le labbra, mentre lui appoggia una guancia sullo schermo. Poi mi saluta, riconsegna il telefono a suo padre e si allontana.
“Comunque non possiamo andare avanti così” mi dice Fabio dimenticandosi che siamo ancora in videochiamata e offrendomi così un’inquadratura sfocata del suo orecchio.
“Così come?”
“Tu e questa storia dell’ipersensibilità.”
“Cosa c’entra adesso?”
“Lasciamo perdere, va’. Ciao.”
Bevo il caffè, vado in bagno ed esco dal bar. Quando mi trovo di nuovo davanti al portone, sono le 8.50. Decido di entrare. Suono al numero 9 e attendo. Un ronzio metallico, la serratura scatta e, con mia sorpresa, il portone si apre automaticamente.
“Valeria, ciao!”
Una voce familiare alle mie spalle. Mi giro. La vedo.
“Ciao Stefania!” la saluto allegramente e intanto butto a terra i fiori oltre il portone.
“Come mai da queste parti? Abiti qui?”
“No, in realtà no, sono… sto facendo un favore a una collega, devo recuperare dei documenti ma, vabbe’, una storia lunga, e poco interessante. Tu come stai?”
“Io bene, dai. Hai tempo per un caffè?”
“Guarda, vorrei ma sono un po’ di fretta. Però sentiamoci.”
Nel frattempo ho sempre una gamba oltre il portone e una ancora sul marciapiede. Stefania non accenna ad andarsene.
“Senti” mi dice. “Mi dispiace molto per quella storia. Volevo dirtelo. So che ci conosciamo poco e io, in teoria, sono amica di Fabio. Però lui è stato uno stronzo.”
Sorrido. “Sì, è quello che penso anche io.”
“Ti voglio anche dire che non so niente. Non gli parlo da allora, quindi non so che cosa… insomma, non so niente di voi al momento, però ci tenevo a dirti queste cose. E se hai bisogno, per qualsiasi cosa, chiama.”
“Va bene, grazie.”
Una volta sola, mi precipito dentro al portone, recupero da terra il mazzo di fiori e ricontrollo velocemente le istruzioni che mi sono segnata sul cellulare: in fondo al cortile, scala b, terzo piano, prima porta a destra.
Mi affretto lungo le scale e, non appena individuo la porta, suono. Mi viene ad aprire una donna indiana sulla quarantina con un grembiule legato in vita e uno straccio in mano. Mi fa cenno di accomodarmi nell’ingresso, uno stretto corridoio in penombra con quattro sedie di legno bianco e stoffa gialla. Su due delle quattro sedie, ci sono un uomo sulla quarantina, camicia bianca, giacca sportiva e auricolare senza fili nell’orecchio, e una ragazza obesa che potrebbe avere venticinque anni o giù di lì.
“Buongiorno” sussurro e loro ricambiano con un sorriso e un sussurro. In fondo al corridoio, oltre una porta a vetri illuminata, si intravedono delle ombre che si muovono al ritmo di una litania monotona, come se qualcuno stesse recitando una preghiera, o un incantesimo.
Trascorrono alcuni minuti durante i quali mi concentro sul respiro come ho imparato a fare al corso di mindfulness. Sento l’aria che entra dalle narici e il ventre che si gonfia leggermente, poi espiro lentamente e così via. Dalla porta a vetri esce una donna anziana piuttosto distinta, ci passa davanti rivolgendoci un sorriso appena accennato, poi se ne va.
“È la prima volta?” chiedo alla ragazza obesa.
Lei sorride e si limita a scuotere piano la testa. “Per lei?”
“Sì, sì. Sono un po’… emozionata.”
“Immagino.”
Non aggiunge altro, nessuna parola di rassicurazione, nessun commento.
L’uomo sulla quarantina si alza di colpo sussurrando un “Scusa, ma non posso parlare ora”. Si ferma vicino alla porta.
“Ne abbiamo già discusso, Alessandra” dice con tono sempre appena sussurrato. “Lo faccio perché è l’unico modo. Credi che mi piaccia? A me? Credi che io sia uno che fa… queste cose?... Sì, esatto, a mali estremi. E ti sembra che questo non sia un male estremo?... No, non cura i tumori, però ti dice… vabbe’.”
Attacca.
E torna a sedersi.
La porta in fondo al corridoio si apre e compare la sagoma di una donna in controluce. “Sara?”
“Sara.” Ho un attimo di incertezza, ma so bene che sta chiamando me. Mi alzo e la raggiungo. Ci stringiamo la mano e lei mi fa accomodare nel suo studio, una stanza quadrata con un tavolo di legno dall’aria antica, due poltrone, un lettino di quelli per fare i massaggi e nient’altro. Appesi alla parete ci sono diversi attestati e diplomi che scorro velocemente con lo sguardo. Su uno c’è scritto “master reiki”.
Ci sediamo sulle poltrone in pelle, una di fronte all’altra, in silenzio.
“Come sta?” mi chiede inclinando appena la testa di lato.
Inspiro prima di rispondere e così mi esce un “bene” tremolante e poco convincente.
“Vuole un bicchier d’acqua?”
“No, grazie. Mi scusi, eh, in effetti sono un po’ agitata.”
“Capita. Vuole raccontarmi qualcosa? Lei sa già come funziona, no?”
“La mia amica mi ha spiegato, sì” dico gettando uno sguardo ai fiori che ho appoggiato sul tavolo.
La donna annuisce e sorride.
“Ecco, io è la prima volta che faccio una cosa del genere. Non è molto… da me. Cioè, ho fatto meditazione, yoga, sono stata da una psicoterapeuta e… ma, ecco, se non fosse che la mia amica mi ha parlato così bene di lei, non avrei cercato da sola una cosa del genere.”
La donna annuisce di nuovo con l’aria di chi ha già sentito molte volte simili preamboli.
“Il fatto è che mi trovo in una situazione complicata. Non so bene da che parte cominciare.”
La donna esita qualche secondo. “Come forse saprà, non serve che mi racconti niente in particolare. Vogliamo sentire i chakra prima?”
Annuisco. “Va bene.”
Mi sdraio sul lettino togliendo solo le scarpe. La donna mi mette una mano sopra la fronte, senza toccarmi, e poi la fa scorrere su e giù dalla testa fino alle gambe, sempre rimanendo a pochi centimetri dal corpo. Non percepisco nessuna sensazione, nessun calore, sento solo il mio respiro trattenuto e l’agitazione che sale.
“C’è qualcosa di bloccato qui” mi dice mentre la sua mano è ferma all’altezza della gola. “Il settimo e il sesto chakra sono ben aperti, è chiaro che lei vede, vede molto…”
Su queste parole si ferma e mi guarda negli occhi rivolgendomi un’occhiata di intesa che non colgo.
“Vede ma non dice, non esprime i suoi pensieri e le sue emozioni. E il suo quinto chakra è bloccato. In questo modo l’energia non scorre, non fluisce, rimane per così dire, nella sua testa, ma il cuore soffre, il corpo soffre.”
Si sposta ai piedi del lettino e appoggia le mani sui miei piedi, questa volta li tocca proprio. “È come se lei non avesse ancora piantato le radici. Come se stesse ancora aspettando qualcosa.”
Mi rimetto le scarpe, ci ritrasferiamo sulle poltrone mi accorgo con una certa sorpresa di sentirmi un po’ meglio. Il respiro è più fluido, avverto una strana sensazione di calore in tutto il corpo.
“Vuole dirmi qualcosa adesso, prima della domanda?” mi chiede la donna.
“Sì, sì.”
“Prego.”
“Ci sono tante cose che potrei raccontare riguardo a mio marito, i miei figli, la mia vita ora… non tutto è perfetto, anzi, alcuni… avvenimenti sono la causa diretta della mia presenza qui. Però il punto è un altro. È che io sento qualcosa in me che non so spiegare, qualcosa che c’è sempre stato evidentemente, ma che io ho ascoltato solo in parte e, ci tengo a essere chiara, questo è tutto quello che so, non sto per farle nessuna rivelazione. Tante volte questa sensazione prende forma nella mia testa e mi dico “non è tutto qui, lo so”.”
Sento un nodo alla gola e sono costretta a fermarmi. Una lacrima mi scivola lungo la guancia. La donna mi sorride rassicurante prima di parlare.
“Ha già in mente una domanda?”
“No, non proprio. Mi verrebbe quasi da chiedere a lei cosa è meglio domandare.”
“Capisco, ma non funziona così. Scelga lei un punto da dove partire, tanto lui poi sente anche le cose che lei non chiede.”
“Lui?” ripeto un po’ spaesata.
“La sua amica mi sa che non le ha raccontato proprio tutto.”
Scuoto la testa.
“Lui è lo spirito col quale sono in contatto da ormai molti anni. È lui che risponde alle persone che si rivolgono a me. O meglio, risponde dettando nella mia mente una risposta che poi io scrivo e che le leggerò.”
“Ma lui chi è? O… dov’è?”
“Non è facile da spiegare se non si è mai interessata di questi temi. Lui non è fuori da me, non è da un’altra parte. Perché l’aldilà è… qui, accanto a noi. Sul serio la sua amica non le aveva detto niente?”
“Non mi aveva parlato di un lui, però sapevo che la sua… risposta, la sua visione, proveniva da, insomma, dall’aldilà.”
“Bene, lo immagini allora semplicemente come un aldiqua molto più grande. Ora la ascolto.”
Inspiro ed espiro ancora per qualche secondo, mentre cerco di mettere a fuoco la domanda.
“Non voglio sapere tutto, non pretendo e non desidero conoscere il mio futuro come se fosse un libro stampato. Ma sono preoccupata, per Fabio, per come stanno andando le cose tra noi. Per Nicolò, io credo davvero che lui abbia qualcosa di speciale, ma è qualcosa che lo rende anche fragile. E per me, perché a volte mi sembra di non sapere più chi sono davvero…”
“Queste sono tante domande, però. Dovrebbe scegliere un punto da cui cominciare.”
Ci penso ancora e mi rendo conto che questa possibilità, mai contemplata prima, mi sta dando alla testa.
“Che cosa accadrà?” chiedo. “Anzi, no. C’è qualcosa… che dovrei sapere, adesso, del mio futuro?”
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ADESSO TOCCA A VOI: VIA AI SUGGERIMENTI PER LA SECONDA PUNTATA!
Potete inviare i vostri spunti a Francesco su come continuare il suo racconto entro le ore 12 del 25 ottobre, inserendoli in un commento qui sotto, su facebook.com/strastorie o via mail a strastorie@gmail.com.
Vi aspettiamo inoltre al primo incontro dal vivo di StraStorie Audio Edition il 23 ottobre alle ore 19 alla Fonderia Napoleonica Eugenia, via Thaon di Revel 21, Milano, con Francesco Gungui, Oliviero Ponte Di Pino, Valeria Ravera e Alessandro Beretta.
Audible Academy presenta
▬ StraStorie Audio Edition ▬
Una storia tutta da ascoltare
Un racconto scritto con i lettori
Con Francesco Gungui
Conduce Oliviero Ponte Di Pino
Un format di narrazione condivisa di Valeria Ravera
Versione audio a cura di Oliviero Ponte Di Pino e Valeria Ravera
Illustrazioni di Guendalina Ravazzoni
In collaborazione con Fonderia Mercury
nell'ambito di BookCity Milano
Ospiti: Alessandro Beretta, Piero Colaprico, Carmen Covito
#StraStorie #AudibleAcademy #Audible #FonderiaMercury #BCM18 #FrancescoGungui #olivieropdpnews #GuendalinaRavazzoni #scritturapartecipata #scrivere #scriviconnoi
https://www.facebook.com/events/252113998829228/
Anna Baruffaldi - così si chiama la medium seduta di fronte a me, non ha strani nomi d’arte, madame qualcosa, ma un nome e un cognome come tanti - mi fissa in silenzio. Poi chiude gli occhi per quello che mi sembra un tempo lunghissimo mentre in realtà dura pochi secondi e, quando li riapre, prende una penna e comincia lentamente a scrivere con una grafia spigolosa e incerta. Cerco di leggere al contrario e riesco a decifrare soltanto una parola: “paura”.
RispondiEliminaGiusy
Ecco lo spunto di Laura postato sulla pagina FB di StraStorie:
RispondiElimina“Non mangerà il panettone” rispose la donna.
Ecco lo spunto di Vanessa postato sulla pagina FB di StraStorie:
RispondiEliminaNon faccio in tempo a chiederglielo che sono travolta da una valanga di pentimento e mi risuona nelle orecchie il boato della domanda "Cosa ci faccio io qui?". Io, una donna razionale, sì, vabbe', anche possibilista, soprattutto possibilista, ma tutto sommato razionale... Chi è questa tizia che ho di fronte? Cosa so di lei? Come faccio a metterle in mano la mia vita? Che uno fa presto a dire "Vado e faccio solo una domanda", sì, certo, il problema è che la risposta rischia di condizionarti per tutta la vita, perché è una risposta che arriva da chissà dove, da un'entità che in qualche modo viene considerata superiore, quindi non è giocare ad armi pari. E poi sì, ecco, alla fine non ho capito niente, razionale e pasticciona, e la pasticciona vince sulla razionale, è automatico, ultimamente mi sembra di girare in tondo e di non capire mai dove sono, così sono finita qui, ma se questa donna adesso ha il potere di condizionarmi la vita io prima voglio sapere chi è e da dov'è che dovrebbe arrivare la risposta per me.
"No, aspetti" la fermo. "Aspetti, non sono pronta." Non le dirò che sono razionale, possibilista, pasticciona, no, ma voglio da lei altre risposte, prima di quella risposta.
Ecco lo spunto arrivato a strastorie@gmail.com da Angelo B.:
RispondiEliminaNon me ne capacitavo. Le parole della donna erano state le stesse che mio marito aveva avuto per me, solo mezz'ora prima. Le solite parole di buon senso che non tenevano conto dei miei di sensi.Quelli più profondi, indicibili. D'un tratto mi accorsi di avere sete. La sete sbagliata che credevo di aver scordato. Presi un autobus al volo, scesi alla prima fermata e sparii in un bar. "Una sambuca doppia" Mi sentii dire, poi ho solo ricordi offuscati.
Dopo un po' la donna inizia a scrivere. Vorrei strapparle il foglio di mano ma devo aspettare che finisca, che si fermi, per scoprire se c'è qualcosa che dovrei sapere subito, che mi faccia ritrovare un senso nella confusione tremenda che ho dentro. Lei all'improvviso si interrompe e comincia a leggere. "Hai ragione tu: Nicolò vede davvero quello che dice di vedere. Apri gli occhi." Ale
RispondiEliminaEcco lo spunto suggerito da Giorgio durante il primo incontro live di StraStorie: la protagonista del racconto potrebbe essersi costruita una finta identità ed essersi presentata dalla medium spacciandosi per la moglie del suo amante, in modo da scoprire come vanno davvero le cose tra lui e la legittima consorte.
RispondiEliminaEcco lo spunto postato da Laura su Facebook:
RispondiEliminaAppena formulata la domanda una leggera pioggia di petali di rose cadeva sul pavimento, seguita poco dopo dai candidi petali di margherita ...
“Ma... il mio mazzo di fiori?”
“Forse Sara dovremmo cominciare da qui, da questi gigli profumati rimasti.
Lei conosce il hanakotoba?”
“No, che cos’è?”
“È il linguaggio simbolico dei fiori in giapponese”
Giglio, lillium e la goccia di latte di Giunone da cui nasce.
Secondo Alessandro Beretta, ospite del primo incontro live, l’incipit è molto cinematografico grazie ai tanti dettagli: il mazzo di fiori, il portone, l’incontro casuale con la conoscente... Inoltre lo spirito è una voce che parla alla medium, ma potrebbe anche trattarsi di un’esperienza medianica di narrazione. Il possibile sviluppo a suo parere è l'accentuazione dell'elemento soprannaturale, magari con una nota di commedia che tra le righe già c’è e può emergere.
RispondiEliminaEcco lo spunto per il prosieguo dell'incipit ricevuto via mail in ritardo per un problema tecnico da Valentina:
RispondiEliminaIo suggerirei l'inserimento di un flashback nel flashback. Mi spiego meglio: l'episodio con la medium potrebbe essere una situazione rievocata nella mente della protagonista. La conclusione, ovvero ciò che la medium scrive sul foglio, potrebbe non venire ancora rivelata e il "mistero" potrebbe essere portato avanti ancora per un po' nel racconto. Invece, darei alla protagonista un taglio caratteriale estremamente razionale. Porterei all'estremo la situazione che l'ha portata a rivolgersi a un medium, come episodio che la conduce a infrangere le regole del proprio Io e la catapulterei, nel presente, in un'altra vicenda: la protagonista si trova in una seduta da una psicologa per risolvere i problemi con marito, famiglia ecc... . Ciò può essere visto come ritorno alla sua componente caratteriale razionale, come un modo per rimettere a posto la propria vita, in maniera, secondo lei, "giusta".
Una bozza potrebbe essere: "Il ticchettio dell'orologio era diventato assordante. Un nodo alla gola incrinava la sua voce. Il desiderio di trasformarlo in pianto diventava sempre più reale ma non poteva permetterlo. I pensieri vagavano in un'unica direzione: il giorno in cui aveva compiuto il gesto scellerato. O che lei considerava tale. Quello in cui gli schemi della propria mente, quella mente che tanto l'aveva guidata durante tutta la sua vita, avavano cambiato equazione. L'incontro con la medium. La sua voce meccanica. Ogni parola pronunciata. Poi, buio. Di nuovo, buio. Ancora, buio. Maledetto buio. Altri occhi, stavolta, ancora una volta, la fissavano. La psicoterapeuta la incoraggiava: "Dunque, iniziamo dicendo tutto ciò che le passa per la testa". Il problema era proprio quello."