STRASTORIE EXTRALARGE
UN ROMANZO SCRITTO ATTRAVERSO
L’INTERAZIONE CON I LETTORI DA RICCARDO BESOLA,
ANDREA B. FERRARI E FRANCESCO
GALLONE
Guendalina Ravazzoni, "Il Malandato" |
Capitolo 3
In
cui la Nutria (non) porta consigli
Luca, nonostante fosse pensieroso e preoccupato, si
addormentò come un sasso, abbracciato al quaderno del Malandato. La mappa era
scivolata fuori ed era finita sulla valigia che aveva portato con sé.
Jake invece non riusciva a prendere sonno. Stava
pensando intensamente a quel mistero misterioso, senza però riuscire a trovare
nemmeno l’ombra di un’idea per provare a risolverlo. Le uniche ombre che
arrivarono furono quelle della sera, che ammantarono di gelida oscurità il
divano e la Martesana. Jake zampettava nervosamente avanti e indietro.
Non potevo continuare a osservare quella valigia e non
fare niente. Così, con i miei dentoni multiuso cercai di rosicchiare la
giuntura metallica che le girava tutta intorno.
Mi ci misi solo dopo che Scolo se n’era andato in
cerca di qualche notizia, ma soprattutto di qualche avanzo sostanzioso di
Ruttaforte Più (una specie di Ruttaforte corretta con qualcosa di molto più
pesante che i ragazzi della Cascina mischiano con avidità). Non volevo
svegliare Luca, quindi procedetti con delicatezza e riuscii a ricavare una
piccola apertura nella grande borsa.
Come per magia lo strappo si allargò da solo e in un
battibaleno mi catapultai dentro la valigia del Malandato con tutte le zampe e
anche con la coda. Mi infilai e mi disinfilai in ogni indumento e dovetti
ammettere che una delle giacche mi dava anche un certo contegno. Poi qualcosa
mi graffiò la zampa. Con un po’ di sforzi mi districai da tutti quegli abiti e
trovai un sacchetto pieno di tappi di Ruttaforte. Bottino magro. Posai il
sacchetto vicino al divano e continuai ad arrovellarmi.
Gli ingranaggi del cervello di Jake giravano così
vorticosamente che se qualcuno si fosse avvicinato in quel momento avrebbe
potuto udirli chiaramente: il loro suono era a metà tra quello delle pale di un
elicottero e quello di una lavatrice che fa la centrifuga. Jake, abbandonata la
valigia, osservava ora la mappa, ora il suo amico Luca che russava
pesantemente, e un punto indefinito nel cielo, e poi ricominciava da capo,
senza fermarsi. Facendo un riassunto degli eventi fino a quel momento accaduti,
la cosa certa era che Luca era sempre più triste e preoccupato, era comparsa
una strana mappa ed erano spariti il Malandato assieme al suo occhio di vetro e
ad altri miserabili, probabilmente
senza casa che popolavano ogni giorno il Refettorio Ambrosiano.
Santa Nutria, quanti problemi in un colpo solo!
L’ora dell’aperitivo in Cascina era passata da un bel
po’, ma per i ragazzi che si attardavano intorno ai tavoli e lungo il Naviglio
la notte era sempre giovane. Parlavano, ballavano, fumavano e riprendevano a
discutere, come in un flusso continuo che ricordava quello della Martesana,
placido e continuo al tempo stesso.
Scolo, in cerca dei suoi cari fondi di Ruttaforte,
cercò di sgattaiolare all’interno della Cascina, chiedendosi come mai gli umani
nella loro lingua abbiano concesso solo ai gatti la prerogativa di intrufolarsi
furtivamente nei pertugi, ma non trovando una soddisfacente motivazione semiologica
si limitò a ciucciare un po’ di birra da un bicchiere lasciato mezzo
rovesciato. Per fortuna che i giovanotti barbuti e le ragazze con le gonne
lunghe seguitavano a bere e a ciarlare, perché se lo avessero notato lo
avrebbero abbagliato con tutte le loro scatolette che sprizzavano lampi.
Fotografato. Lo avrebbero fotografato, proprio come era capitato al Malandato
quando non era ancora il Malandato. Le nutrie odiano essere catturate,
immobilizzate, chiuse in uno spazio definito, anche se si tratta solo di quello
che delimita un’immagine. Preferiscono specchiarsi nelle acque cangianti e in
moto perpetuo del naviglio, o – nel caso di Scolo – nel liquido dorato o
ambrato di cui andava continuamente alla ricerca.
Esaurito il fondo del bicchiere Scolo snutriò fuori
dalla cascina e si diresse verso il giardino lì di fianco, facendo attenzione a
scantonare l’area cani. Fra quelle bestie, alcune più grandi ed altre più
piccole di lui, a prescindere dalle rispettive età, ce n’era spesso qualcuna
per nulla affabile.
Fu allora che Scolo lo notò.
Un bicchiere pieno di Ruttaforte gelata che se ne
stava in bilico su un sasso e che secondo lui moriva dalla voglia di cascare.
Di fianco al bicchiere, illuminata dallo schermo del telefono, una ragazza
piuttosto carina per non essere né pelosa e nemmeno una cornacchia. Doveva
essere molto preoccupata perché si tormentava con una mano una ciocca di
capelli e con l’altra continuava a tramestare con la sua scatoletta luminosa.
Scolo si avvicinò il più possibile nel vano tentativo
di metterle paura. Sperava che sobbalzando dallo spavento la bella urtasse il
bicchiere e gli “regalasse” tutto quel nettare della Santa Nutria!
A spaventarsi, però, fu lui.
Di colpo il cellulare si mise a squillare con un
rumore assordante e Scolo si infrattò in una buca alle spalle della ragazza. Di
lì vide un orsetto di peluche che penzolava, attaccato a delle chiavi, dai
jeans della giovane donna.
Scolo, ancora sobrio, lo riconobbe. Era lo stesso
orsetto che una dei cuccioli del Malandato stringeva tra le mani in una delle
decine di fotografie che aveva lasciato con Jake giù al divano. Doveva tornare
da quella vecchia lenza del suo amico.
La ragazza si alzò e si mise a parlare.
“Ciao, mamma. Sono qui in Martesana, ma stavolta non
l’ho trovato. Sono un po’ preoccupata. No, non torno subito a casa, ma’. Faccio
ancora un giro. Tu vai a letto, poi domani mattina ti accompagno. Sì, ho le
chiavi. Non faccio tardi, ma stai tranquilla, abitiamo in via Tortona, mica in
via Padova!” disse prendendo in mano l’orsetto con attaccate proprio le chiavi.
Poi mise il telefono in tasca e fissò l’orsetto. “Caro
Orso Baluba” gli disse come se quello potesse sentirla “dove sarà finito?” A
quel punto la ragazza puntò dritta verso la buca di Scolo che, per non essere
visto, se la diede a zampe verso via Stamira d’Ancona, dove erano stati
allestiti i giochi gonfiabili per i cuccioli di uomo e dove altri ragazzi, meno
agghindati di quelli della Cascina, ballavano al ritmo di una musica
assordante.
Doveva tornare da Jake e dirgli di quella strana
coincidenza, però prima di ributtarsi verso il naviglio, la sua attenzione fu
attirata da un'auto in sosta ancora accesa, ma con le luci spente, e da
qualcosa attaccato al tubo di scarico...
Luca, forse per il freddo, smise di russare e iniziò
ad agitarsi in modo convulso.
Jake lasciò mappa e valigia e zampettò sul divano, si
accoccolò vicino al suo amico e cercò di calmarlo a colpi di fronte. Quando hai
artigli e dita palmate, la mossa più simile a una carezza che puoi fare è prendere
a testate, delicatamente, l'oggetto del tuo affetto. Ci volle un po’, ma alla
fine Luca riprese a dormire, mentre Jake si mise a scrutare l’orizzonte dal suo
osservatorio invisibile e per questo privilegiato.
Fu allora che nel mezzo della Martesana vide un
riflesso metallico. Guardò meglio, e distinse nuotare in stile nutrico un paio
di ombre, ed era fuor di dubbio che si stavano dirigendo verso il rifugio. Una
delle due però, quella che seguiva la prima, aveva un’indiscutibile forma di
tromba. Per tutte le razze di Nutrie della Galassia! Un brivido gli fece
rizzare tutto il pelo. Riconobbe Scolo, e con lui arrivò a riva una tromba in
ottone. Una tromba? Ma com’era possibile! Quando i due risalirono sull’argine,
Jake capì. Sotto alla tromba c’era un’altra nutria, che non aveva mai visto
prima. Con un clangore metallico appoggiò a terra il suo strumento.
Scolo gli si avvicinò: aveva ancora il fiato corto per
la nuotata, e anche una faccia brutta, più brutta del solito, insomma.
“Ciao, Scolo...”
“Ehi, vecchia lenza...”
Anche il suo alito sembrava essere peggiore del solito.
Era tutto brutto, accidenti, pure il colorito della nutria che Jake non
conosceva, e il suo pelo pieno di macchie scure.
“Che ti è successo, Scolo? E chi è questo?”
“Lui è PM10. PM10, lui è Jake. PM10 mi ha fatto
provare il suo vizio, ma non mi piace. Mi tengo il mio.”
“Piacere” disse Jake.
“Bella zio” rispose PM10 battendogli un cinque palmato
sulla zampa.
Jake per un attimo si chiese se per caso avesse dei
nipoti. Subito dopo si rispose che non gli risultava, anche se nella sua
nidiata c’era una sorella un po’ troppo allegra per i suoi gusti. Mai dire mai.
In ogni caso, si mise a guardare il nuovo arrivato per capire cosa intendesse
chiamandolo zio.
“Dicevo” riprese Scolo interrompendo quei momenti di
imbarazzato silenzio “PM10 è uno del centro città, bazzica nel campo di grano
dalle parti della Megapunta, tra la Superblatta di legno e quella colata di
cemento che gli umani si illudono sia qualcos’altro chiamandola foresta
dritta.”
“Capito” disse Jake, che in nutrico significava
‘capito’, d’altronde una delle principali caratteristiche del linguaggio
nutrico è un’impeccabile coerenza tra ciò che si intende dire e ciò che si
dice.
“Era venuto in trasferta dalle nostre parti e ci siamo
incontrati per caso vicino alla Cascina. Fiesta Nutria anche stasera, laggiù.
Così l’ho portato con me perché lui ha un potere… come dire? Speciale! PM10,
glielo spieghi tu a Jake quello che puoi fare?”
Scolo si voltò ma PM10 era sparito. A testimonianza del
fatto che non si fosse trattato di un amico immaginario, a terra era rimasta la
sua sgangherata tromba, uno strumento tutto ammaccato e lurido.
“Santa Nutria!” disse Jake impaurito. “Sparito anche
lui!”.
Scolo invece non era per nulla turbato, e si mise a
osservare le impronte bagnate che avevano lasciato le zampette di PM10. Si
dirigevano verso le scale che salivano sopra al ponte, dove c’era la strada
liscia su cui gli umani sfrecciavano con le loro scatole metalliche con le
ruote, che è la definizione che usano le nutrie per chiamare le automobili.
Jake e Scolo seguirono le tracce di PM10.
“È un tipo un po’ strano, ma ti piacerà!”
“Anche il nome è strano…”
“Oh, soltanto in apparenza, Jake. In realtà si chiama
Pellicciotto Maculato Decimo, ultimo esemplare di una rarissima dinastia di
nutrie di un allevamento di Caronno Pertusella. Una delle ultime liberate dalla
Castorina, l’estirpatrice di tutte le cattività. Eccolo!”
PM10 stava con la bocca attaccata al tubo di
scappamento di un’auto in sosta, parcheggiata vicino al marciapiede.
“Ma cosa fa?” chiese Jake esterrefatto.
“Prende ispirazione.”
“Hai detto aspirazione?”
“No, ispirazione, con la i, gli serve per suonare la
sua tromba.”
“E dunque è speciale perché suona la tromba?”
“Ma no, per quello devi solo aspettare che abbia
finito di ciucciare la marmitta.”
Jake lo guardò stranito. Non stava capendo un’acca, e pure
qualche altra lettera dell’alfabeto nutrico.
PM10 pochi secondi dopo si staccò, li guardò e disse:
“Scusate, non ho resistito. Era bella calda, come piace a me, da sotto ho
sentito spegnersi il motore…”.
“Amico, tu mi preoccupi” gli disse Scolo. “Torniamo
giù!”.
Fecero ritorno al rifugio di Luca e Jake. L’umano
adesso dormiva profondamente accanto alla valigia del Malandato con i suoi
abiti, il quaderno pieno di vecchie fotografie e la misteriosa mappa. PM10
raccolse la sua tromba e si mise a suonare. Jake e Scolo ascoltarono: dallo
strumento usciva una strana melodia, una specie di pernacchia afona, e un filo
di fumo grigio, quello che Pellicciotto Maculato Decimo aveva ciucciato dalla
marmitta.
“Scolo, si può sapere che cosa cavolo è venuto a fare
quello?”
“Ascolta. Ssh!”
“Ma a me piace il rap! Non quella stupida tromba!”
PM10 d’improvviso finì di suonare e posò la tromba.
Jake non osava guardarlo: pensò avesse smesso per quella sua ultima frase,
forse l’aveva offeso. Invece no.
“Sono pronto!” annunciò PM10 con un sorriso a due
denti giallissimi come un risotto allo zafferano.
“Lui vede le cose. È questo il suo potere…” disse
Scolo a bassa voce.
“Lo vedo anch’io che le vede, s’è attaccato a quel
tubo di scappamento con una precisione millimetrica!”
Scolo guardò sco(lo)nsolato Jake, poi si rivolse a
PM10.
“Quella è la valigia del Malandato di cui ti ho
parlato prima.”
Pellicciotto Maculato Decimo zampettò vicino, quasi
fino a toccarla, e si mise a fissarla con nutrica intensità.
“Vecchia lenza, adesso capirai…” sussurrò Scolo a
Jake.
PM10 iniziò a parlare, in trance, come se stesse
leggendo la pagina di un libro invisibile, come se sapesse parlare la lingua
degli umani:
“Il Malandato non è sempre stato il
Malandato... vedo... vedo un professore, un insegnante in gamba... veniva da
una famiglia bene, suo padre aveva delle macellerie, quei posti dove fanno a
pezzi gli animali e li conservano per mangiarli, e il Malandato da giovane
aveva deciso che non avrebbe mai fatto il macellaio in vita sua, bensì il
professore. Indossava
cappottoni lunghi e cappelli flosci, era sempre assorto nei propri pensieri e
non passava inosservato, soprattutto con le femmine della sua specie, che amano
i maschi belli ed eleganti. Il Malandato aveva studiato la società degli uomini, la sua storia, le
sue prospettive. Con alcuni colleghi aveva formato un gruppetto, avevano
esplorato, viaggiato, studiato, scavato: fu proprio durante uno scavo che una
scheggia di pietra gli fece perdere l'occhio. La perdita dell'occhio fu solo
l'inizio della caduta. Per seguire le proprie passioni, appaganti ma assai poco
redditizie, servivano la pazienza di sua moglie e i soldi di suo padre, la ricchezza
garantita dalle Macellerie delle Alpi (che favoriva anche la pazienza della
consorte, per l’appunto).
“Ma suo padre morì. All'improvviso. E
il Malandato, che per gli uomini allora si chiamava ancora Giovanni, come suo
padre e come suo nonno, esattamente come io mi chiamo Pellicciotto Maculato
come nove avi prima di me, si trovò costretto ad assumere il comando
dell'azienda di famiglia.
“Aveva a Lambrate un moderno centro
di stoccaggio e lavorazione di bovini: era quasi tutta sua la carne che ogni giorno
veniva servita nei ristoranti del centro. Questo successo dava fastidio a
qualcuno, forse al temibile cartello dell’Angus argentino o ai toscani della
Chianina. Fatto sta che la sera di un 24 aprile, un giovedì, qualcuno si
intrufolò nel capannone frigorifero e, complice un fortunale che da giorni
stava devastando Milano con continue interruzioni alla corrente elettrica,
manomise i cavi del generatore d’emergenza. Il fatto venne scoperto solo il
successivo lunedì mattina, quando i primi operai di ritorno dal ponte aprirono
i portelloni e quasi svennero all’olezzo di centocinquanta tonnellate di carne
putrefatta. Da qui il suo soprannome, il Malandato, perché tutta la sua vita
era “andata a male” insieme ai suoi quarti di bue. Giovanni non riuscì più a
riprendersi da questo tracollo: l’inchiesta non portò a nulla, l’assicurazione
tardò a risarcire e il Comune di Milano pretese subito la quota per lo
smaltimento della carne putrida. Un venerdì di luglio uscì di casa alla solita
ora per andare in macelleria ma non tornò mai più. A casa la bella moglie, la
figlia e suo figlio Giovanni rimasero ad aspettarlo per anni."
PM10 smise di parlare, roteò gli occhi e si avvicinò
ai due amici.
Scolo sorrideva compiaciuto, Jake invece aveva la
piccola mascella che penzolava come un’altalena abbandonata, e lo sguardo
incredulo.
“Adesso hai capito o vuoi un disegno?”
“Lui… lui… vede… le cose…”
“E io che ti avevo detto? Senti, non è che c’è qualche
bottiglia di Ruttaforte da finire nei paraggi, che a furia di spiegarti tutto
mi si è seccata la gola?”
Jake non rispose, era ancora inebetito.
Scolo gli diede allora un poderoso coppino. Fu così
che Jake si ridestò: “Ma questa è una fandonia!”.
PM10 si irrigidì, infastidito, Scolo guardò gli altri
preoccupato: “Che intendi dire, amico?”.
“Intendo dire che questo tuo veggente s'è
inventato tutto! Come può aver visto la storia del Malandato semplicemente
guardando dentro la valigia? Potrebbe raccontarci qualsiasi sciocchezza, e tu
gli crederesti? Con quali garanzie?”
“Una volta ha fissato la mia bottiglia di Ruttaforte e
ha detto che era appartenuta a un ragazzo con la barba... e proprio a un
ragazzo con la barba l'avevo rubata!”
“Il mondo è pieno di ragazzi con la barba, non te ne
sei accorto, Scolo?”
“Sì, ma...”
PM10 fece spallucce, e con indifferenza disse solo:
“Puoi credermi o non credermi, zio. Io so cosa ho visto. Io so cosa è vero.”
Scolo tentò di conciliare: “Mi spiace, Decimo...”.
“Zio, don't worry,
be happy. Mi sono divertito un casino e
sai che per me il divertimento è una cosa seria!”
E PM10 si rituffò nel naviglio, con la sua tromba
malandata. Lui sapeva che quella storia era vera, perché l'aveva udita dalla
bocca stessa del Malandato, in un posto lontano miglia e miglia nutria da lì.
Il Malandato, l'umano che gli aveva regalato uno strumento, l'umano solo che
amava i libri e che quando scriveva i propri ricordi se li dettava ad alta
voce, per il piacere di ascoltare l'unica voce amica che gli fosse rimasta.
La notte sembrava non voler passare mai lungo la
Martesana, e la scatola metallica con le ruote che PM10 si era ciucciato prima
della sua divinazione era stata l’ultima a fermarsi sulla striscia di cemento
dietro al naviglio. Anche i carri ferrati che filano sui binari sopra il ponte
sotto il quale stavano Luca e il divano sembravano dormire il sonno dei giusti.
Persino il freddo si era preso una pausa e non mordeva le chiappette pelose dei
due roditori, né quelle di Luca.
Solo Jake e Scolo non si davano pace, ancora scossi
per gli ultimi avvenimenti che, non è neppure il caso di sottolinearlo, erano
già Storia per le nutrie della Martesana.
Jake strattonò Scolo per la coda e gli tirò fuori una
scartomerenda.
“Se vuoi bere qualcosa abbiamo solo questo” disse
indicando un brick di cartone che aveva disegnata sopra un’albicocca.
“Grazie” rispose Scolo che, senza usare la piccola
cannetta di plastica che invece Jake aveva visto faceva impazzire i cuccioli di
uomo, infilò i suoi dentoni gialli nel cartone e lo prosciugò.
“Diamo un’occhiata qui dentro.”
“Okay, vecchio mio. Buono questo coso. Come hai detto
che lo chiamano i piccoli uomini?”
“Succo di frutta, mi pare.”
“Mmh… con due zampe di Ruttaforte sarebbe perfetto. Ne
hai mica un altro da darmi?”
“Scolo, per mille code, dobbiamo esaminare la valigia
del Malandato.”
“Ah, è vero.”
L’autista del camioncino dell’Amsa che si era fermato
al limitare del giardinetto di via Sammartini ed era sceso per fare un bisogno
contro il muro della ferrovia, vide due grosse nutrie che tramestavano attorno
a qualche cosa. Non si capacitava mai, nonostante gli anni d’esperienza, di
quanto potessero essere ingegnose quelle bestiacce. Il tizio, prima di salire
sul suo motofurgone e riprendere il giro per nettare i cestini della zona,
butto l’occhio al giovanotto che dormiva sul divano. Era un bel po’ che lo
vedeva e, nella sua pausa minzione notturna, si era abituato a controllare che
nessun balordo lo infastidisse. Anche oggi tutto regolare, si disse e mise in
moto.
Sempre che un ragazzo che dorme su un divano, sotto al
ponte della ferrovia, possa essere la norma in una città moderna e civile come
Milano.
Jake e Scolo spostarono il sacchetto con i tappi di
Ruttaforte e lo utilizzarono per tenere ferma la mappa. Era davvero un mistero
quel pezzo di carta con attaccate tutte quelle immagini di posti che loro due
non avevano mai visto, per non parlare delle croci che il Malandato vi
aveva tracciato tutt’intorno.
“Credo che dovremmo muoverci, Scolo” disse Jake.
“Santa Nutria, Jake, all’alba manca ancora un bel po’.
Possiamo anche fare un riposino, dato che qui non stiamo cavando una radice dal
buco.[1]”
“No, Scolo, capisco che la nostra lingua sia molto
semplice e priva di sfumature, ma intendevo che credo proprio dovremo
intraprendere un lungo viaggio dentro alla città. Io ho sempre vissuto qui,
sulla Martesana, e a parte quelle rare volte che Luca mi ha portato in qualche
posto un po’ lontano per mangiare non mi sono mai mosso.”
“Ehi, Jake, vecchia lenza, non fasciamoci la coda
prima di essercela fatta sbocconcellare da un pesce gatto[2].
Vediamo dove ci porterà la storia del Malandato. Ah, passami quelle foto che
sono cadute al tuo amico.”
Jake afferrò faticosamente il diario del Malandato e
lo aprì.
Effettivamente il racconto di PM10 era abbastanza
fedele, se ci si basava sulle evidenze che si potevano toccare con zampa dalle
fotografie. I cuccioli del Malandato, ops, il fu Giovanni, erano proprio due,
un maschio e una femmina, e oltretutto una delle foto lo ritraeva mentre tutto
agghindato, con un cappellaccio floscio e un grande mantellone nero, stava
toccando dei grossi pezzi di animale spellicciato, che venivano trasportati
dentro a un negozio.
Aveva già la benda sull’occhio.
Un’altra foto attirò Scolo. Era quella della
cucciolotta del Malandato che stringeva fra la collottola e la guancia un
piccolo orsetto che gli umani di solito chiamano di peluche e che gli ricordava
proprio quello della ragazza triste alla Cascina.
Scolo voleva dire qualcosa, ma lasciò perdere. Era
vero che il tempo per gli umani passa diversamente che per le nutrie, ma a
maggior ragione come faceva un coso di peluche a durare tutti quegli anni, e
soprattutto nelle mani della stessa persona… Non era il caso di fare una figura
di fango.
“Guarda, Scolo, il Malandato qui aveva già la benda
sull’occhio.”
“Sì. Chissà se aveva già anche quella biglia di vetro
che si metteva sempre e che gli cascava ogni due per tre?”
“Ogni due?”
“Per tre, Jake. Lo dicono gli umani anziani che
guardano il Naviglio quando qualcosa succede molto spesso.”
“Tu frequenti troppi umani, Scolo!”
“Senti chi parla, Jake. Quello là cos’è? Una nutria
troppo cresciuta?” disse Scolo indicando Luca che iniziava a muoversi sul
divano.
Il primo treno merci passò che l’alba era ancora una
lontana lama di luce sull’orizzonte della ferrovia, ma bastò a far svegliare
Luca.
Il giovane barbone si mise a sedere sul divano e, in
apparenza più dinamico del solito, riassettò le foto del Malandato e il diario.
Buttò un occhio alla valigia, tutta aperta e in disordine, poi prese la mappa e
diede forma a tutti i sogni o incubi che avevano popolato il suo sonno.
In realtà Luca passò il solito quarto d’ora a
osservare la mappa e Jake e Scolo lo fissarono, per una volta immobili,
aspettando che qualcosa gli balenasse nella mente.
Quello che i due roditori e il resto della gente non
sapevano di Luca era che, quando aveva questi passaggi a vuoto, solo il corpo
si fermava perché tutte le sue energie erano concentrate nel cervello.
Luca analizzò e rianalizzò la mappa e la confrontò
mentalmente con le immagini in cui il Malandato apparteneva ancora al mondo
degli uomini che si definiscono normali. Lo vide vicino a una macelleria, poi
con la benda sull’occhio e di nuovo con la sua famiglia. Anche lui aveva avuto
una famiglia, e la sua mammetta gli mancava moltissimo. Poi si mise a studiare
tutta la mappa della città cercando dei collegamenti fra le varie “X” tracciate
dal Malandato. Alcune gli sembravano poste in punti della città che per un
viandante come il vecchio guercio potevano rappresentare delle ottime zone
franche per trovare un rifugio. Qui la sua attenzione si spostò sul Duomo.
C’erano due “X” molto vicine e Luca si disse che se voleva scoprire cosa era
capitato, in nome della solidarietà che c’era fra gli abitanti della Martesana,
doveva partire da lì. D’altronde, in quella piazza c’erano ben due grandi
librerie e, poco distante, c’era la grande Biblioteca Sormani. Se era vero che
al Malandato interessavano i libri – come diceva anche Carcarlo –, allora
quello era un buon punto di partenza.
“Ciao, Bob” disse Luca “dormito bene?”
Jake la Nutria gli girò attorno e raspò la borsa con
le scartomerende.
“Colazione?” chiese Luca e aprì i biscotti,
prendendone una buona dose per sé. Bevve anche due succhi di frutta, poi, dopo
un po’ di stiracchiamenti, tirò fuori un grosso borsone di plastica rossa del
Penny Market.
Lo aprì e, rivolto a Jake, disse: “Coraggio, Bob,
salta dentro che andiamo a cercare il Malandato”.
Jake s’infilò nel sacchettone che Luca usava come
trasportino di fortuna e fece cenno anche a Scolo, che era in disparte, di
seguirlo.
“Urca, Bob, abbiamo messo su peso, eh? Troppe
scartomerende, mi sa che devi fare la dieta” disse Luca avviandosi verso viale
Monza e la metropolitana.
Con sé, nello zaino mezzo stracciato, portò un po’ di
provviste, la mappa, il diario del Malandato con tutte le foto e un dvd da
vedere durante il lungo viaggio che lo separava dai margini al centro città.
Capitolo 4
In cui la compagine riunita parte
per un viaggio inaspettato
per un viaggio inaspettato
Quella mattina parve alla piccola compagnia più
plumbea del solito. La città risuonava di suoni tetri, cupi, gracchiare di
corvi e sirene, e poi il traffico, intenso. Non era nulla di sbalorditivo, se
non la sensazione che ci coglie quando ci allontaniamo da casa, dalle nostre
abitudini, dalla serena quotidianità. Incominciare un'avventura eccita eppure
spaventa, e per Jake e Scolo tutto quel chiasso, tutta quella baraonda erano
spaventosi. Lo erano perfino per Luca, ormai avvezzo al placido scorrere del
naviglio, al suo divano all'addiaccio ma libero, a una vita ai margini, certo,
tra gli scarti, ma quieta.
Era un'altra Milano quella in cui stavano per
immergersi, una Milano dove i treni non passano sopra le teste sempre alla
stessa ora, ma corrono sotto terra ininterrottamente, una Milano dove le
persone corrono, sì, ma non in ridicole tute tecniche dandosi il ritmo con gli
auricolari nelle orecchie, bensì affrettandosi in abito elegante, da lavoro,
oppure in divisa, simili alle formiche quando assaltano una scartomerenda
dimenticata aperta. Quella faccia della città Jake l'aveva già incontrata,
accompagnando Luca quando andavano a qualche mensa diversa dal Refettorio, ma
per Scolo – il re della Martesana – era un territorio totalmente nuovo.
Luca giunse davanti all'imbocco delle scale della
linea rossa della metropolitana e si fermò qualche secondo, giusto per avvisare
Jake: “Bene, Bob, ora prenderemo il metrò. Non spaventarti, io una volta lo
prendevo tutti i giorni. È un grosso treno sotterraneo che a quest'ora del
mattino si riempie di persone, ma d'altronde, se non vogliamo dare nell'occhio,
è tra le persone che dovremo confonderci.”
Jake, per quanto fosse molto intelligente, non aveva
ancora capito cosa volesse fare Luca, e lui parve quasi udire i suoi pensieri,
perché proseguì: “Ora andremo in Duomo, perché sulla mappa è il punto più
centrale e riconoscibile. Là cercheremo tracce del Malandato. Sarà un viaggio
lungo, ma ho portato un dvd, così il tempo passerà in maniera più piacevole.”
Jake pensò
che lui e Luca erano giunti alla stessa conclusione: per risolvere l’enigma del
Malandato bisognava andare nel cuore della città! Era davvero molto soddisfatto
del suo amico umano.
Luca intraprese la discesa, gradino per gradino, e
nella sporta Jake e Scolo dondolavano a ogni passo. La gente gli sfilava
accanto di fretta senza prestar loro troppa attenzione. Qualcuno ha osservato
che gli animali possono guardare gli uomini senza essere notati, ma forse non
ha considerato che per non essere notati basta perdersi tra la folla: da uno,
tra centomila, diventi niente, diventi nessuno. E Luca, e gli altri come lui,
erano niente e nessuno agli occhi di quei due o tre milioni di persone che
s'avvicendavano in città ogni giorno.
Jake e Scolo s'acquattarono nel loro trasportino
improvvisato più che poterono, altalenati dal passo insolitamente sicuro di
Luca, che rallentò in prossimità dei tornelli d'ingresso della metropolitana.
L'addetto in guardiola che osservava il flusso attraverso i piccoli monitor,
oltre i vetri oscurati, non avrebbe prestato loro attenzione, e anche se li
avesse visti attraversare i tornelli senza obliterare il biglietto non li
avrebbe fermati… perché avrebbe avuto compassione di quel giovane barbone, per
non avere discussioni, per pigrizia, per disinteresse, per protesta, chissà...
ma per attraversare i tornelli serviva un biglietto, e Luca quel biglietto non
lo possedeva. Rallentò fino quasi a sembrare immobile, osservò la folla di
passeggeri in entrata, ne percepì il ritmo, lo assimilò, lo assunse, prese il
passo e, sincronizzato come un'ombra appresso a un bizzarro individuo barbuto
con uno strano basco e una grossa chitarra in spalla, gli si appiccicò dietro e
attraversò la barra dei tornelli infilandosi nella fessura lasciata libera
dall'impeto del chitarrista. Erano dentro. Il primo ostacolo era superato.
Scesero sulla banchina e, appena giunse un treno
abbastanza affollato, Luca vi salì, incastrandosi nel carnaio con la sua sporta
colma di nutrie scomodamente accomodate.
“Ehi, Jake, sposta il tuo sedere dai miei incisivi!”
“Scusa, Scolo!”
Le nutrie viaggiavano ad altezza ginocchia, e la calca
non faceva sconti a nessuno, non all'ora di punta: figurarsi a due nutrie
accovacciate in una borsa lurida e logora.
“Attento, Scolo! Santa Nutria, me ne scappa una!”
“No!”
E invece sì: le scartomerende di colazione avevano
gonfiato lo stomachino nutrico di Jake, che non riuscì a trattenersi.
“Jake, per la Nobile Castorina! Siamo nutrie, non
puzzole!”
Ma non tutto quel che puzza vien per nuocere: i
passeggeri, disgustati dalla flatulenza di Jake, presero ad allontanarsi da
Luca, il barbone: sicuramente era stato lui. La gente benvestita, si sa, le fa
profumate come saponette. Qualcuno si alzò addirittura dal proprio posto a
sedere, conquistato con astuzia e fatica, facendo lo sgambetto alla signora
sovrappeso coi tacchi alti prima di oltrepassare i portelloni. Fu così che
Luca, Jake e Scolo, da Loreto in poi, viaggiarono comodamente seduti, guardando
il dvd dei Miserabili, per ripassare
la storia che in realtà nella versione di Luca era meno triste dell'originale
di Victor Hugo. Fu attraverso il racconto di Luca, comunque, che Jake infine
comprese che I Miserabili non erano
(soltanto) quelli come Luca, ma anche un libro, e poi un film. Scolo osservava
Jake e il suo umano esterrefatto: “Ma che fate?”.
“Guardiamo un film.”
“Ma che vuol dire?”
“In quella scatoletta c'è una storia, bellissima. Luca
riesce a vederla e me la racconta.”
“In quella scatola c'è una storia?”
“Sì. Gli uomini, caro Scolo, oltre a imbottigliare le
Ruttaforte, sanno mettere le storie nelle scatolette e nei libri. Così non
vengono dimenticate. Sai quante storie che mi ha raccontato la mia santa mamma
nutria ho scordato?”
“Caspita... ma allora questi bipedi glabri sanno fare
anche qualcosa di buono, oltre alle bottiglie piene!”
La voce femminile del treno avvisò che erano arrivati
in Duomo. Luca afferrò la sporta e si fiondò giù dal vagone, salì sulle scale
mobili, molto apprezzate dalle nutrie insaccate in quanto riducevano notevolmente il dondolio della borsa, e s'accodò all'esodo che
assaltava i tornelli. Erano fuori. Affrontarono gli ultimi gradini, e
finalmente emersero nella grande piazza, proprio di fronte al Duomo.
Luca posò la borsa a terra: Jake e Scolo non avevano
mai visto il Duomo, e pure Luca era da parecchio che non passava di là. Certo,
se lo immaginavano grande, ma trovarselo davanti in vetro e pietra li lasciò
senza fiato! Era enorme, e forse avevano visto palazzi più alti, ma nessuno
così magnificente, nessuno! Videro i pilastri e videro le guglie, e notando la
Madonnina, là sulla guglia più alta, Scolo chiese a Jake: “Ehi, e quella chi
è?”.
“Quella... penso sia l'equivalente della Santa Nutria
per gli umani. Sai, Dio è lo stesso per tutti gli esseri viventi, Scolo, ma
nella mia esperienza di nutria sono giunto alla conclusione che ogni essere se
lo figura a propria immagine e somiglianza. I ratti hanno il Ratto Supremo, i
cani hanno il Padrone, i Gatti hanno se stessi, noi abbiamo la Santa Nutria e
gli umani hanno lei...”
“Wah! E come hanno fatto a metterla là in alto?”
“In realtà, penso abbiano usato delle impalcature come
quelle che vediamo sui cantieri della ferrovia. Certo è che nessuno può
portarla via, così.”
Luca intanto trafficava con la mappa. La X più grossa
in realtà non era collocata sulla cattedrale, bensì in posizione frontale rispetto
a essa. Lui iniziò a perlustrare la piazza in lungo e in largo, cercando dei
punti di riferimento rispetto al disegno. Jake e Scolo abbandonarono la sporta
e seguirono il loro giovane amico, curiosi. D'un tratto, Luca si arrestò: aveva
gli occhi fissi sulla mappa, ma sembrava non vederla più. Era nel suo mondo.
Stava capendo qualcosa...
“Bob!”
Jake gli si strusciò contro il polpaccio.
“Bob... la X corrisponde a questa statua col cavallo!
Ma c'è anche qualcos'altro... qualcosa sopra...”
Non li avevano notati, troppo concentrati sulla loro
ricerca in quella piazza gremita di gente con valigette zaini e borse che
zampettava avanti e indietro. Ma quelli avevano notato loro. Erano in due, uno
alto e robusto, aggettivo cortese per indicare una grave obesità; l'altro
piccolo, basso, magro. Il primo indossava una divisa che sembrava di una misura
più stretta, pronta a strapparsi al primo movimento brusco della sua corpulenta
persona; il secondo pareva essersi rimpicciolito all'interno degli abiti, come
un bambino brutto con indosso una divisa da adulto.
Il primo disse pigramente: “Ehi, giovane...”.
Il secondo chiese con veemenza: “Che bestie sono
quelle? Non saranno mica ratti?”.
Luca si voltò e vide i ghisa farglisi incontro. Non
aveva niente da nascondere, né credeva di aver fatto qualcosa di male, ma quei
due avevano un'espressione minacciosa e qualcosa, dietro le orecchie, gli
suggerì che non avevano intenzioni benevole nei suoi confronti, no. Il pelo di
Jake e Scolo si raddrizzò, così oltre che nutrie sembravano pure punk,
combinazione che ai vigili della polizia locale non sarebbe andata a genio, non
nella piazza più centrale di quella metropoli, non nel suo cuore più
appariscente, no no no. Non era stata una grande idea andare in piazza del
Duomo in pieno giorno, un barbone e due nutrie: erano fuori posto, più fuori
posto del solito, loro a cui un posto era negato comunque e ovunque.
I ghisa avanzavano, gonfiando il petto e latrando come
fanno i cani maschi quando si incontrano al parco. Luca era terrorizzato e
immobile, più immobile della statua di Vittorio Emanuele II, e Jake pensò
proprio che fosse finita per loro, li avrebbero separati, lui e Scolo sarebbero
finiti anzitempo sotto la falce della Grande Nutria e il povero Luca sarebbe
stato mandato di nuovo in comunità, e come avrebbe fatto senza di lui quando...
quando all'improvviso, da una fenditura alla base del piedistallo della statua
equestre, emerse una faccia amica. Una faccia da nutria: “Ehi! Ehi, dentoni,
venite di qua! Seguitemi!”.
Non se lo fecero ripetere.
Scattarono, prima Scolo, professionista della fuga,
quindi, dopo aver dato un colpo di zampa alle gambe di Luca, Jake, e il ragazzo
gli si fece dappresso. Corsero dietro alla nutria salvatrice attraverso la
strada, poi per via Dante, e in piazza Cordusio il tram fu costretto a una
brusca frenata per non investire Luca. Le clèr si sollevavano sulle vetrine e
le donne strillavano alla vista di quei grossi topi fuori contesto, mentre i
vigili arrancavano alle loro spalle, sempre più lontani, col fiato sempre più
grosso. Finalmente raggiunsero piazza Cairoli, e fu solo una volta arrivati nei
pressi del Castello Sforzesco che la nutria misteriosa si fermò, voltandosi per
chiedere: “Tutto a posto, dentoni?”.
“Sì, grazie... Come ti chiami, nutria?”
“Il mio nome è Liscione. Se chiederete di me, vi
diranno due cose: che sono una nutria tutta d'un pezzo, e un gran conquistatore
di femmine. Mentre voi?”
“Io sono Jake, e questo è il mio amico Scolo. Siamo
nutrie della Martesana.”
“Ma... questo è con voi?”
Liscione ammiccò a Luca. Luca ricambiò con un sorriso,
agitando la mano in segno di saluto.
“Oh, Santa Nutria... infinite sono le vie della
Castorina, la salvatrice delle nostre pellicce!”
A quell'ora, al Castello c'era poca gente, e pure nel
parco Sempione. Luca, sempre con la mappa in mano, notò una qualche coincidenza
tra una X e la Torre del Filarete, che per lui era una torre e basta. Mentre
accompagnavano Liscione “dalle altre”, venne fuori che questi era a capo di una
banda di nutrie che bazzicavano in centro tutti i giorni.
“Ma abitate qui?” chiese Jake. “C'è poca acqua, no?”
“No, noi stiamo al Parco Lambro, dentone. Ma l'estate
è finita, l'autunno se ne va, e giù da noi si trova sempre meno cibo... Voi
dove state?”
“Noi sulla Martesana. Però da noi ci sono i
ristoranti, il cibo non manca mai!”
“Ecco: invece da noi siamo parecchie, davvero. E c'è
chi se ne va verso il cimitero di Lambrate, dove seppelliscono gli umani morti,
a fare strage di fiori, ma è troppo triste, non fa per me. C'è chi aspetta, al
freddo e a dieta, che torni la bella stagione. E c'è Liscione, che poi sarei
io, che è un dritto e non sta fermo ad aspettare che la Grande Nutria se lo
venga a rosicchiare!”
“E quindi?”
“E quindi, ogni mattina io e altre sette o otto nutrie
in gamba lasciamo le nostre tane di periferia, arriviamo alla stazione della
metropolitana che chiamano Cimiano, e una alla volta prendiamo il metrò, fino a
Cadorna. Ci riuniamo negli anfratti, accanto alla stazione, e veniamo qui in
centro, dove il via vai di umani è continuo, perenne, e pure il cibo si trova
tutto l'anno!”
Jake era sbalordito! Lui si sentiva una nutria
intelligente, eppure non aveva mai concepito un piano del genere, e anzi, non
sapeva se sarebbe stato capace di eseguirlo: “Ma come fate a riconoscere la
stazione? Sapete leggere?”.
“Ma che farnetichi, dentone? Contiamo le fermate, e
mal che vada la voce del metrò dice sempre Cadorna dove dobbiamo
scendere! Siamo nutrie del nuovo millennio! I nostri antenati venivano da
luoghi selvaggi e incontaminati, oltre le immense acque, ma noi ormai siamo
nutrie di città: avremo imparato pur qualcosa! Ma non è finita, dentone: quello
che vedrai ora ti sbalordirà!”
Aggirarono il Castello, e ad aspettarli c'erano sette
nutrie d'ogni età. Erano accovacciate in attesa di qualcosa. Liscione li
precedette e si unì al gruppo, quando il più giovane squittì: “Eccola! È
arrivata! Presto, presto!”.
La Gattara era una donna sciupata, sulla cinquantina.
Indossava tre maglioni larghissimi, e aveva i capelli lunghi e grigi e ramificati
come un rovo incolto. Si fermò con due borse in un angolo tranquillo, e
cominciò a richiamare i suoi amati felini con un verso discreto. Accanto a lei,
c’era una ragazza, giovane, e carina. Dai suoi jeans, assieme alle chiavi,
pendeva un piccolo orsetto di peluche. Scolo la riconobbe immediatamente e
cominciò a battere la coda. E pure Luca la riconobbe, ma non nel senso in cui
l'aveva riconosciuta Scolo.
Capii tutto in un istante, perché per capire certe
cose non serve essere nutrie o essere umani, basta sapere cosa muove il mondo,
e modestamente io, almeno un poco, lo so. Non come Liscione, che è un dritto di
prima categoria, ma nel mio piccolo so di cosa parlo. Quando Luca e io ci
incontrammo, la prima volta, io lo compresi subito, e pure lui, e l'unica cosa
che non fu capita fu che non sono un gatto, ma una nutria: però lo intuimmo in
quello stesso istante, che saremmo stati amici per sempre. E questo sguardo
rividi in Luca, mentre fissava quella ragazza dagli occhi un po' tristi eppure
dolci, come di chi non ti fa pesare la sua tristezza, ma al massimo la fa
pesare a se stessa. E, guardandola, compresi Luca, perché quella tipa folgorò
anche me. Luca era cotto, almeno quanto Scolo era cotto della sua cornacchia.
La Gattara riempì le vaschette di plastica trasparente
di croccantini e le posò in terra. I gatti del Castello vi si fiondarono sopra,
e le nutrie, in formazione a testuggine, ne scelsero un paio, quelle più
periferiche, da difendere e divorare. La Gattara non diede segno di notare che quelle
fossero roditori e non felini. Sua figlia, forse, un po' sì, ma non volle
allarmare la madre.
“Ma secondo te gli è successo qualcosa?”
“E chi può dirlo, mamma? È sparito una volta, può
sparirne due, tre, quattro. Ormai non ha più legami, li rifugge... Siamo noi
che ci preoccupiamo per lui, ma non so se lui si preoccupa per noi.”
“Per lui è stata dura, Anna...”
“E per noi non lo è stata? A volte lo invidio, sai?
Almeno lui fa davvero quello che gli pare. Invece noi...”
“Invece noi lo andiamo a cercare, per sapere come sta.
Perché gli vogliamo bene.”
“Sì. Gli vogliamo bene. Però lui non lo sa. E noi non
sappiamo nemmeno se si ricorda di noi...”
“Io sono sicura che Giovanni pensa sempre, di
continuo, a noi.”
“Giovanni, mio padre, sì. Ma il Malandato, a che
pensa?”
Luca guardava inebetito Anna, con la bocca spalancata.
Jake guardava intenerito Luca, ridacchiando sotto le vibrisse. Scolo tentava di
attirare l'attenzione di Jake, eccitatissimo: “Ehi, vecchia lenza! Ascolta,
guarda... guarda l'orso! Lo riconosci? È Baluba!”.
“Baluba chi?”
“Quello è l'orso che aveva il cucciolo del Malandato
nella foto! Cioè, quella ragazza è il cucciolo del Malandato, da grande! Cioè,
quella ragazza ieri sera era a casa nostra, in Cascina, e oggi è qui, e...
Santa Nutria!”
La Gattara raccolse le sue borse e ripartì, seguita
dalla figlia. Liscione e i suoi tornarono da Jake, Scolo e Luca, sorridendo
compiaciuti e sazi: “Bene, dentoni. Noi ora si ciondola un poco per il parco,
ma ho una domanda per voi: che cosa stavate cercando, in pieno giorno, in
piazza Duomo?”.
[1]
NdJ Alle nutrie i ragni sono
completamente indifferenti.
[2]
NdJ Tutto il mondo è paese.
VIA AI NUOVI SUGGERIMENTI! ASPETTIAMO I VOSTRI SPUNTI SU
COME CONTINUARE IL ROMANZO ENTRO LE ORE 12 DELL'11 APRILE QUI, SU FACEBOOK.COM/STRASTORIE O VIA MAIL A STRASTORIE@GMAIL.COM!
Ecco gli spunti che Luca Crovi ci ha suggerito ieri nel secondo incontro di StraStorie ExtraLarge:
RispondiElimina"Nella StraStorie deve entrare una mucca, perché è la protagonista di Cow Evolution, un gioco molto in voga."
"La mucca in questione potrebbe guidare il tram."
"Caronno Pertusella, terra d'origine della nutria PM10, alias Pellicciotto Maculato Decimo, è la patria italiana del vinile e i ghiri sono ghiotti di vinile."
"In alcuni dei cunicoli sotto il Duomo scorre l'acqua."
"I sotterranei del Castello Sforzesco hanno molte parti non accessibili e quindi inesplorate."
E infine, il suggerimento più criptico e suggestivo: "Loro tre sono una coppia molto affiatata".
Al parco del Naviglio Martesana arriva un cacciatore americano, vuole la pelliccia di Jake e delle altre nutrie, le cerca lungo il canale in piena notte, mira col suo fucile Jake la nutria, Luca si butta per salvare Jake e viene ferito. Jake si arrabbia, il cacciatore si gira e Jake morde alle caviglie il cacciatore e lo fa cadere in acqua. Poi si avvicina al poliziotto e con gli occhi da nutria riesce a far capire che Luca deve essere portato all'ospedale. Sempre con i suoi occhi vispi di nutria fa capire che in acqua il cacciatore malfattore, da mandare in prigione per il reato. Luca viene portato all'ospedale e li guarisce dallo sparo. Il giorno dopo Jake percorre ke fognatura dell'ospedale e esce dal water del bagno proprio nella camera di Luca. E gli dice - amico mio trasferiscono nei canali di San Pietroburgo, conosco una strada per arrivarci in poco tempo, là staremo al sicuro, almeno d'estate. Jake chiede a Luca se possono portare tutta la famiglia finiture della Martesana e Luca accetta. Presto faranno le valige e partiranno. Massimiliano
RispondiEliminaNel testo di Massimiliano appena inviato c'è qualche refuso da cattiva digitazione . Non "finiture" ma famiglia di nutrie, alla fine. E prima: " amico mio, trasferiamoci a San Pietroburgo", è non 'trasferiscono'.
RispondiEliminaEcco lo spunto ricevuto via mail da Graziella:
RispondiEliminaCarcarlo
Gli ultimi giorni erano stati molto movimentati per il nostro gruppetto di investigatori fai da te, per cui Luca aveva deciso di prendersi una giornata di riposo per riflettere.
Aveva pensato di spingersi fino al Refettorio Ambrosiano per controllarne l'andazzo. Arrivato, aveva notato un certo trambusto... gli ospiti, a gruppetti, erano intenti a parlottare, chi alzando la voce, chi cercando di parlare pacatamente. Luca non riusciva a percepire le parole così si avvicinò a un trio che era particolarmente animato per capire cosa era successo. Sentì che raccontavano che Carcarlo era da giorni che balbettando sbraitava, si agitava e si lamentava perché non riusciva più a trovare un francobollo di gran valore, una rarità, che un suo parente gli aveva lasciato in eredità. Sembrava a Carcarlo di averlo sistemato in un libro, dentro a una bustina trasparente, proprio per non perderlo di vista e ritrovarlo quando voleva vederlo. Diceva di aver passato in rassegna tutti i volumi della sua libreria mobile, i suoi amati libri, e di non averlo trovato e si era persuaso che sì, forse lo aveva messo proprio tra le pagine de' I Miserabili, il libro che aveva prestato al Malandato e che non aveva ricevuto indietro.
Nell'incertezza quindi anche Carcarlo voleva trovare il Malandato per verificare se la sua supposizione era vera.
La cosa si faceva sempre più interessante.
Ma quanti erano a cercare il Malandato? si chiedeva Luca. E il Malandato si era accorto del francobollo nascosto tra le pagine de' I Miserabili? Si era reso conto da uomo colto qual era che aveva un discreto valore e che d'improvviso avrebbe potuto rendere i proprietari non più "miserabili"? E come avrebbe agito? Forse quelle X sulla mappa potevano segnalare possibili acquirenti?
Ecco lo spunto ricevuto da Pier via mail:
RispondiEliminaIl Liscione.
Sappiamo che è nutria tutta d'un pezzo e gran conquistatore di femmine.
Mai descrizione fu più vera.
Ma vi è qualcosa in più da sapere.
E' a capo della gang di San Babila tant'è che lo chiamano il "maschio di San Babila".
Assieme a lui vi è un gruppo di 7/8 compagni inseparabili che dettano legge nei dintorni.
Ovviamente in quei dintorni non c'è femmina di nutria che sfugga alle loro attenzioni e corteggiamenti.
Memorabili sono le feste organizzate dal gruppo.
Vere feste da "Milano da bere".
Ugualmente memorabili gli scherzi che combinano ai gatti soprattutto a quelli del Castello.
Il Liscione però sovrasta tutti i suoi compagni non solo perché è fisicamente, come si può dire, un bel pezzo di nutria.
Soprattutto per il suo look.
Per prima cosa, ha il pelo liscio brillante per il fatto che sapienti zampe di nutria (femmina) lo curano mediante la spalmatura di brillantina (ogni tanto tra i rifiuti del barbiere di via Brera si trovano confezioni , ancora utilizzabili, di brillantina per capelli, vi è proprio una nutrita schiera di sue fans femmine che si occupano di recuperarle).
Inoltre le zampe sono ricoperte di braccialetti, tipo quelli portafortuna che vendono gli ambulanti africani. Leggenda narra che ad ogni braccialetto corrisponda una conquista.
Al collo, porta poi una collana tipo oro piuttosto vistosa cui è appeso un ciondolo che sovente cambia: a volte, un cuore altre volte una pistola ... dipende dall'umore.
Il Liscione ama poi fumare i sigari o meglio avanzi di sigari che trova per strada.
Pare ne abbia una collezione nella sua tana ... ma questa solo in pochi l'hanno vista.
Certo è che lui conosce tutti i segreti della Milano sotterranea quella che scorre sotto le strade scintillanti(più o meno) del centro cittadino.
Un indubbio aiuto per i suoi nuovi amici Jack e Scolo; ah si poi c'è anche quello strano umano!
Ecco lo spunto inviato da Silvia via mail:
RispondiEliminain un gatto ci sono tante storie
ma che giorno era? forse era domenica e questo gatto aveva trascorso tutta la giornata festiva accucciato sul muretto a osservare ciò che accadeva in strada
sentiva ciò che dicevano gli umani ma capiva anche ciò che umano non era
lui poteva essere la chiave
era sempre stato lì? tornava ogni giorno alla medesima ora? oppure prendeva posto solo la domenica?
la domenica gli umani cambiano, rallentano, si guardano negli occhi, si travestono , portano borse a tracolla colorate, a volte si muovono in bicicletta, si fermano e sembrano felici
forse nella mappa non era il luogo ma il tempo a dover essere cercato
Ecco lo spunto di Paola ricevuto via mail:
RispondiElimina... ma ho una domanda per voi: che cosa stavate cercando, in pieno giorno, in piazza Duomo?”.
Luca da tempo aveva scelto di non avere bisogno della fortuna nella sua vita, ma se a un certo punto, tutto quello che stai cercando, ma anche che non sai ancora di cercare, ti appare davanti, alla fine di una fuga tra due nutrie, in pieno giorno in piazza Duomo, bhè, l'unica risposta alla domanda di Lscione è .... una botta di ....... insomma: la Fortuna. O meglio: forse incredibilmente è lei che ha trovato noi, e di sicuro ora non possiamo farcela scappare.
Così salutiamo in fretta i nuovi amici e come di comune accordo ognuno di noi si incammina seguendo madre e figlia cercando di non perderle di vista.
Luca si incammina irrequieto. Io al suo fianco.
Dalla mia altezza, la cosa più facile da tenere a portata di vista è l'orsetto appeso alla tasca dei jeans di Anna.
Scolo è di poco avanti a me e a un certo punto tunf, spling...splash.... in un attimo l'orsetto salta giù, atterra sul muso di Scolo, che taglia la strada a Luca, che inciampa e pluf: In pochi secondi ho sei occhi a portata di muso: due umani, due nutrini e due di orsetto incatenato alla ferraglia.